Viveva in un Gemeindebau, una casa comunale nel 22esimo distretto, Kujtim Feizulai, il ventenne che lunedì sera ha fatto piombare la capitale nel terrore. Cittadino austriaco ma con passaporto anche della Macedonia del Nord, origini albanesi ma nato e cresciuto a Vienna. «Un ragazzo normale con una famiglia normale ma con amici sbagliati» spiegava ieri, ancora incredulo, l’avvocato Nikolaus Rast.

Due anni fa la madre di Feizulai si presentò nel suo studio chiedendogli di aiutarla perché suo figlio, all’epoca diciottenne, era sparito. In realtà, stando alle ricostruzioni emerse ieri, Feizulai aveva già avviato il suo percorso di radicalizzazione cominciato come spesso accade su internet, proseguito frequentando la moschea viennese di Melit-Ibrahim, considerata un punto di incontro di persone «con convinzioni islamiche radicali», per concludersi infine con il tentativo, fallito, di unirsi ai combattenti islamisti in Siria. Proprio per questo, dopo essere stato arrestato in Turchia, ad aprile dell’anno scorso un tribunale austriaco lo aveva condannato a 22 mesi di carcere, pena che Feizulai ha scontato solo in parte. Grazie infatti ai benefici previsti dalla legge austriaca per i più giovani, il terrorista è uscito di prigione dopo aver scontato pochi mesi durante i quali ha anche preso parte a un programma di de-radicalizzazione dove è riuscito a ingannare tutti i partecipanti.

LUNEDÌ NOTTE la polizia ha impiegato otto minuti per mettere fine alla follia omicida del «bravo ragazzo con gli amici sbagliati». Otto minuti che però sono stati sufficienti a Feizulai per uccidere quattro persone (due anziani, un uomo e una donna, un giovane originario come lui della Macedonia del Nord e una ragazza tedesca che lavorava come cameriera) e ferirne altre 24, tre delle quali sono in prognosi riservata. Accanto a loro anche due eroi, due giovani viennesi di origine turca e di religione islamica, Mikail Ozen e Recep Gueltekin. Mettendo a rischio se stessi hanno salvato la vita a un poliziotto ferito steso a terra sollevandolo e portandolo verso un’ambulanza mentre nelle vicinanze risuonavano gli spari, e hanno aiutato altri cittadini a ripararsi. Il ministro degli interni Karl Nehammer, uno poco filo-migranti, ha lodato il loro importante contributo.

LA SERA DELL’ATTENTATO era l’ultima prima del lockdown, e per godersi le ultime ore di libertà in città si era riversata una folla di persone, con i teatri e l’Opera pieni. All’indomani dell’incubo Vienna è invece lo spettro di se stessa, ancora deserta, con in giro solo poliziotti, l’esercito e giornalisti. La zona intorno alla sinagoga, fino a due giorni fa centro di un allegra movida chiamata Bermudadreieck, triangolo delle Bermuda, è irriconoscibile. L’invito alla popolazione anche ieri è stato di rimanere in casa, chiuse le scuole che potrebbero riaprire oggi, salvo diverse disposizioni della polizia. Nel frattempo l’attività investigativa non si ferma alla ricerca di eventuali complici di Feizulaj. Retate e perquisizioni oltre a Vienna si sono avute anche a Salisburgo e Linz. In Svizzera invece la polizia ha arrestato due giovani di 18 e 24 anni. In tutto le persone finite in manette sono state 14 con gli investigatori incerti fino all’ultimo sul numero di persone che lunedì notte avrebbero seminato il terrore nella capitale.

Un’incertezza che ha provocato un’altalena di dichiarazioni fino a quando il ministro dell’Interno Karl Nehammer non ha ammesso la possibilità che ad agire possa essere stato un solo attentatore che si è mosso velocemente in sei punti della città (tutti vicini) sparando nel mucchio. In serata è arrivata anche una rivendicazione del gesto terroristico da parte dell’Isis. In un comunicato pubblicato sui canali Telegram si parla di «un attentato con armi da fuoco compiuto ieri (lunedì, ndr) da un combattente dello Stato islamico nella città di Vienna».

IL GOVERNO ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e il cancelliere Sebastian Kurz, del partito popolare (Oevp), noto hardliner anti migrazione che da gennaio governa con i Verdi si è rivolto alla nazione con parole misurate ed inclusive. «Dobbiamo essere sempre consapevoli del fatto che qui non si tratta di uno scontro tra cristiani e musulmani, oppure tra austriaci e migranti. Questa è una lotta tra le molte persone che credono nella pace e quelle poche che desiderano la guerra, tra civiltà e barbarie». Tutte le autorità austriache hanno insistito sui valori di libertà, democrazia e convivenza plurale. Il presidente della comunità islamica in Austria Umit Vural ha condannato l’attentato senza mezzi termini. «Dobbiamo distinguere tra la religione pacifica dell’islam e questi estremisti. Si tratta di un ideologia che benedice la violenza, che disumanizza e che rifiutiamo profondamente».