Tre movimenti, tre episodi: Nino e Yoyo, Luba, Magnifico shock. E tre registi sotto lo stesso cielo, napoletano, nell’ordine Guido Lombardi (Là-bas, Take Five) Francesco Prisco (Nottetempo) ed Edoardo De Angelis (Mozzarella Stories, Perez.), chiamati a raccolta dal produttore Alessandro Cannavale e da suo fratello Andrea della Run Film, con l’apporto di Rai Cinema. Doveva chiamarsi Permesso di soggiorno, poi è diventato Vieni a vivere a Napoli! questo oggetto uno e trino, dichiarazione d’amore per la città e insieme attraversamento ora ironico ora beffardo delle sue contraddizioni e «integrazioni». Perché la Napoli multiculturale che ne scaturisce non è una cartolina, e cadenze e svolgimento da commedia sono il risvolto di storie che incrociano realtà e paradosso, quasi fossero dei documentari messi in favola, un cortocircuito. Tre storie su sceneggiature a più mani: Lombardi con Marco Gianfreda; Prisco con Giorgio Caruso; De Angelis coadiuvato da Gianfreda e Devor De Pascalis. Film brevi per nove giorni di riprese ciascuno, girati a distanza di due settimane l’uno dall’altro, nel 2013, e in sequenza perfettamente inversa rispetto all’assetto poi conferito al lungometraggio. Ad amalgamare il tutto, la fotografia di Daria D’Antonio, il montaggio di Lorenzo Peluso, le musiche di Riccardo Ceres, i costumi di Rossella Aprea e le scenografie di Carmine Guarino (negli ultimi due episodi) e Antonella di Martino (In quello di Lombardi). Una sorta di laboratorio, su piani plurimi, come ci hanno raccontato i registi a margine dell’anteprima del film al teatro Petruzzelli di Bari nel corso del Bif&st (mentre una distribuzione in sala dovrebbe arrivare tra qualche mese, probabilmente in autunno).
«C’è una surrealtà – racconta Lombardi – che lega gli episodi, la mia sensazione è che ci sia una sorta di continuità, in sottotraccia, quasi che il mio episodio entri naturalmente in quello di Francesco e il suo in quello di Edoardo, pur mantenendo ciascuno la propria autonomia. Tra l’altro prima di questo progetto ci conoscevamo, ci eravamo già incrociati, ma non era mai capitato di sederci insieme a parlare di cinema. E questo scambio è stato importante, prezioso». «L’idea di Alessandro Cannavale – spiega invece Prisco – era quella di omaggiare, in un certo senso, i film italiani a episodi degli anni Sessanta e Settanta; poi le nostre storie le abbiamo concepite e realizzate separatamente e ognuno con uno stile peculiare, io ad esempio ho puntato su un universo molto caricato, un po’ grottesco, alla Jeunet se vogliamo». «Si è trattato – commenta inoltre De Angelis – di un esperimento linguistico, sono tre parti ritmiche, tre variazioni sul tema. Del resto Napoli è città che alleva e contiene gli sguardi più disparati, ora contigui, ora anche opposti, e negli ultimi sette/otto anni ci sono state esperienze diverse, nonostante dal 2009 alla film commission campana non venga destinato un euro di fondo. Ma certe storie sono ancorate necessariamente a determinati luoghi e non possono migrare altrove».
E dunque, in Nino e Yoyo di Lombardi, il piccolo mondo immobile di un insopportabile e lavativo portinaio (Gianfelice Imparato) alle prese con un bambino cinese che addirittura lavorerà, senza saperlo, al posto suo, conquistandone gradualmente l’affetto. In Luba, di Prisco, la storia di una badante ucraina che non riesce a dimenticare i lontani fasti da conduttrice televisiva nel suo paese e, intanto, viene licenziata da una famiglia per aver rischiato involontariamente di ammazzarne il patriarca (Antonio Casagrande): si ritroverà così sola tra le strade notturne della città, protagonista suo malgrado di avventure e fughe, con approdo inaspettato (farà catturare un latitante) a – nuova – celebrazione mediatica. Infine Magnifico shock di De Angelis, la giornata particolare di un giovanissimo cingalese, garzone in un bar, innamorato all’improvviso e forse ricambiato, di una triste e insicura cantante neomelodica interpretata da Miriam Candurro che ha per agente Massimiliano Gallo. Viaggio in limousine e fermate tra matrimoni e serenate.
«Il mio piccolo protagonista – aggiunge Lombardi – si chiama Marco Li, l’ho scoperto in una delle scuole gestite dalle comunità cinesi a Napoli. Un fenomeno che va diffondendosi è anche quello di donne napoletane, come il personaggio interpretato da Antonella Morea nel mio episodio, che fanno da baby sitter ai figli di cinesi. Questa sorta di conflitto tra il bambino e il portiere della palazzina è stato anche il modo di mettere a confronto due mondi culturali apparentemente inconciliabili; in qualche maniera è stato terapeutico anche per me stesso, trattandosi di una realtà, quella dei cinesi, con la quale ho più difficoltà a rapportarmi». Valentina Lapushova invece – rimarca Prisco – «l’ho scoperta tramite provini e incontri presso le associazioni ucraine della città; fa la badante anche nella vita, per un’anziana signora, ed è molto vanitosa ed esuberante, quindi perfetta per il ruolo che cercavo. La storia che ho raccontato me l’ha ispirata mio padre, in ossigenoterapia come Antonio Casagrande nel film, e come lui, o forse anche di più, scorbutico con la donna che lo assiste, peraltro laureata, istruita, anche un po’ spaventata dalla città, infatti non esce dopo una certa ora, perché teme Napoli come una minaccia. Così questa sua paura l’ho voluta un po’ infondere nel personaggio di Luba. E poi, se ci penso, si tratta di due mondi entrambi «alieni» nel mio episodio: Napoli lo è per antonomasia, ma se frequenti i suoi mercati rionali ucraini, ecco che scopri anche lì un’umanità davvero incredibile». Tra le famiglie cingalesi di Piazza Dante, e poi all’interno di un laboratorio teatrale, De Angelis ha invece individuato il giovane Diggamaralalage Bagga Lankapira: «A me – spiega il regista – piace da sempre mettere in contatto l’elemento recitativo «selvaggio» con quello consolidato, e un attore come Massimiliano Gallo è in grado di calibrarsi su quel registro, sa reagire allo stimolo del reale. Del resto, anche come regista cerco proprio questo dalla realtà: estrarre un’idea drammatica, una sintesi, una trasformazione». Nel frattempo, quasi ultimata la postproduzione del suo Indivisibili, storia di due gemelle siamesi: «L’idea che per separarsi devono tagliarsi, farsi male, è qualcosa che mi affascinava molto».