Durante l’anteprima milanese di Uncharted L’Eredità Perduta, Marco Giannatiempo di Laboratorio e Comunicazione, connettendo il substrato archeologico del videogioco per Playstation 4 dei Naughty Dog alla realtà, ha invitato nel luogo dell’evento l’archeologa Licia Romano, la co-direttrice e “field-director” della Missione Archeologica Italo-irachena ad Abu Tbeirah a Nasiriyah, in Iraq meridionale, e assegnista di ricerca del Dipartimento Studi di Orientali dela Sapienza. Accompagnavano la dottoressa Romano l’assiriologo e traduttore di testi antichi Franco D’Agostino e lo specialista in archeologia sperimentale Stefano Caruso. E’ stato curioso e affascinante verificarein prima persona la differenza tra l’attività del “vero” archeologo rispetto a quella alla quale è abituato chi videogioca, sulla scia avventurosa di Indiana Jones e Lara Croft. La dottoressa Licia Romano, che ci ha rivelato la sua passione per i videogiochi, ha risposto alle nostre domande sull’argomento, illuminandoci inoltre su alcuni dettagli del suo lavoro di archeologa.

Ci racconta il suo rapporto con il videogioco?

Sono nata negli anni ’80 e quindi sono stata inevitabilmente attratta come tutti i miei coetanei dal mondo dei videogame. Ho, manco a dirlo, giocato con i videogame di Indiana Jones e Tomb Rider. Ma l’attrazione maggiore l’ho sempre avuta verso i cosiddetti “punta-e-clicca”: mettere assieme vari indizi e risolvere enigmi del resto rispecchia molto il mio lavoro. L’archeologia infatti è proprio basata sul rispondere a domande e quesiti sul passato grazie alle tracce lasciate sul terreno. E le maggiori scoperte non si fanno esclusivamente sul campo!

Cinema e videogame restituiscono l’idea di una dimensione avventurosa dell’archeologia, ma sarebbe interessante e divertente un gioco davvero fondato sulla prassi “vera” utilizzata in uno scavo.

Quello dell’archeologo è un mestiere avventuroso sotto tanti punti di vista. Viaggiare in luoghi e nazioni culturalmente molto diversi è un arricchimento continuo, soprattutto per la possibilità di un contatto quotidiano con la popolazione locale che un turista non può avere. Immagina che ormai, dopo 7 anni di attività, noi abbiamo una vera e propria famiglia allargata a Nasiriyah. Ma oltre alle inevitabili avventure e imprevisti (come viaggiare su un pulmino di pellegrini sciiti perché la tua macchina è rimasta in panne nel deserto), la vera sfida nell’archeologia è trovare fondi, seguire ed espletare tutte le procedure amministrative necessarie al funzionamento della Missione (sia italiane sia irachene nel mio caso), selezionare un team che sia funzionante e ben coeso (vista la vita da “Grande Fratello” che conduciamo chiusi nella stessa casa per mesi), nonché coordinare gli sforzi di tantissimi specialisti che sono impegnati nelle nostre ricerche.

Che genere di gioco sarebbe quindi un videogioco che restituisca davvero l’illusione di essere un archeologo?

Contrariamente all’immagine che si ha dai video-game, il lavoro dell’archeologo è un lavoro prettamente di squadra, che prevede si mettano insieme le competenze più disparate. Il nostro team per esempio oltre a tanti archeologi con specializzazioni differenti (ceramica, oggetti in pietra, analisi dei pavimenti etc.) annovera tra i suoi membri una antropologa fisica, una archeo-zoologa, una restauratrice (sii, lo so, tutte donne!), una paelobotanica e una palinologa, un geologo, un’esperta di analisi chimiche e fisiche, una fisica nucleare, esperti di DNA antico etc. Beh, diciamo che più che un videogame avventuroso sembra più simile ad un videogioco gestionale, in cui ovviamente la parte più divertente è quando puoi mettere le mani sul terreno!