C’è una storia in Polonia che comincia ben prima del videogioco The Witcher donato, sue proprie mani, dall’ex-premier polacco Donald Tusk a Barack Obama. Il famoso titolo prodotto dalla software house varsoviana CD Projekt RED era stato definito dal «Washington Post» il peggior regalo ricevuto dall’ex-inquilino della Casa Bianca durante la sua presidenza. Tanto peggio. C’è una storia, anzi, una preistoria del videogioco a Varsavia d’ispirazione borghese che nasce in un laboratorio della Elwro nella Repubblica Popolare di Polonia.
Almeno all’inizio trattasi di una «storia a perdere», così come raccontata nella mostra «Game Start/Game Over» organizzata negli spazi del Museo di Ingegneria cittadina di Cracovia (visitabile fino al 2 aprile 2017). Una preistoria del videogioco che trova ispirazione nella moda fugace per una variante del gioco di fiammiferi Nim, capace conquistare la classe media occidentale dopo esser stata sdoganata nella pellicola di Alain Resnais L’anno scorso a Marienbad (1961).

Marienbad 

Un anno dopo a Breslavia Witold Podgorski programma una versione elettronica del Marienbad per il computer polacco Odra 1003 prodotto dalla Elwro. Il gioco non arriverà mai sugli scaffali dei negozi. E forse è stato meglio così. Nella versione di Podgorski il giocatore umano è condannato a perdere con la macchina. Fiammiferi, carte o pixel il risultato non cambia: il videogiocatore resta un eterno sconfitto proprio come Giorgio Albertazzi nel film scritto da Alain Robbe-Grillet in cui proverà in vano a sconfiggere a Nim il «marito sconosciuto» interpretato da Sacha Pitoëff.  La Elwro ci riproverà qualche anno dopo con una console nera con finiture color arancio dallo chassis oblungo: sgraziata come il collo di un Parmigianino, l’Ameprod TVG-10 si presenta con quattro varianti di Pong preinstallate nella console e viene commercializzata insieme ad una pistola. Ma sono anni di oppressione e penuria per la Polonia governata dalla giunta militare del generale Jaruzelski. L’Ameprod non riuscirà a conquistare il mercato locale anche dopo averne spostato la produzione a Poznan.

Ameprod

La fabbricazione dell’Ameprod viene interrotta nel 1984 nel periodo in cui nei paesi capitalisti si assiste al grande crac dell’industria videoludica. Ma è soltanto un caso. Il mercato dei videogiochi nei paesi del Patto di Varsavia è infatti un mercato chiuso. Tutt’al più a circolare a Varsavia o a Sofia sono alcuni sottoprodotti videoludici di fattura sovietica come le imitazioni a basso costo dei «Game and Watch» portatili della Nintendo confezionate dalla Elektronika. E così Super Mario e Donkey Kong resteranno per molti anni dei perfetti sconosciuti ad est del Muro di Berlino. Per comprare un videogioco o un computer bisognava conoscere qualcuno ed essere molto fortunati. I videogiocatori negli anni ottanta in Polonia appartenevano ad una casta di privilegiati, e tutti gli altri a desiderare balocchi con il naso incollato alla vetrina, manco fossero i poveri di Baudelaire.

Bajtek 

Intanto, la cultura videoludica viene promossa in absentia grazie alla rivista Bajtek che aumenta l’appetito locale per i giochi elettronici. I redattori di Bajtek se ne spartiscono le pagine in base ad una divisione in «klan». A qualcuno toccano le recensioni dei titoli Commodore, ad altri quelli per le console Atari o lo ZX Spectrum. All’inizio degli anni novanta i videogiochi fanno la loro comparsa nella televisione polacca grazie a trasmissioni come «Joystick», in cui i piccoli si sfidano uno alla volta in modalità giocatore singolo ad alcuni titoli di successo. Siamo all’inizio degli anni novanta negli anni della transizione al capitalismo. Ideologia oblige: vengono prediletti in studio i simulatori di volo come F-15 Strike Eagle per celebrare la campagna aerea della guerra del Golfo, o comunque, i titoli prodotti dalle software house d’oltreoceano. Affrontare il tema della ricezione videoludica in Polonia, significa anche raccontare una storia fatta di contraffazioni e sfacciataggine imprenditoriale.

Pegasus

È il caso dell’importatore di abbigliamento Marek Jutkiewicz che crea la Bobmark International per commercializzare in Polonia con il nome di Pegasus un clone taiwanese del Famicom. La console a 8-bit venderà benissimo anche in Serbia all’inizio degli anni novanta mentre il resto del mondo si gode i videogiochi dell’era dei 16-bit. Che si tratti del Pegasus in Polonia, del Dendy in Russia o del Terminator in Romania poco importa. Nella storia della fruizione videoludica, i «famiclone» sono la causa dell’ultima sfasatura storica sul Vecchio Continente. Con l’avvento delle console a 32-bit della quinta generazione la storia da raccontare sarà la stessa, ad Est come ad Ovest. La sale giochi,ribattezzate in polacco «flipper» dagli appassionati di giochi arcade, spopoleranno in Polonia come nel resto del mondo, almeno fino alla fine degli anni novanta. Ma questa è un’altra storia. Si prega di inserire un gettone.