Il canto del cigno Achille Variati nella città che si rispecchia nelle macerie. Il «fascioleghismo» di Francesco Ruocco che archivia la Vicenza d’oro berlusconiana. E la clamorosa esclusione dalla scheda di Stefano Di Bartolo con il simbolo a cinque stelle.

Di sicuro, si gira finalmente pagina. Tramonta Achille Variati, amministratore «civico» con il piglio da podestà democristiano. Classe 1953, laurea in matematica, assunto da Banca Cattolica, a soli 27 anni era consigliere comunale prima di ricoprire il ruolo-chiave di segretario del partito. Il «delfino di Rumor» è sindaco nel 1990, poi approda in Regione, ma ritorna a palazzo Trissino fino a trionfare nell’ultima tornata: confermato al primo turno con il 54% dei consensi. Nel 2014 è eletto anche presidente della Provincia, mantenendo le deleghe Anci per Welfare e politiche sociali.

Lascia in eredità la super-base militare Usa nell’aeroporto Dal Molin, il crac della storica Banca Popolare e la capitale della Vandea veneta nel guano del Bacchiglione che esonda. La Vicenza di Variati per un decennio è stata quella di Gianni Zonin (imprenditore padrone di tutto), Roberto Meneguzzo (Palladio Finanziaria travolta dalle Procure) o Enrico Maltauro (impresa edile, arrestato per le tangenti Expo).

Nelle Primarie di dicembre la svolta: vince per 38 voti Otello Dalla Rosa, 49 anni, manager, ex socialista con la tessera Pd, che si ispira alla coalizione arancione di Padova. Mastica amaro il candidato sindaco dei salotti buoni, della sussidiarietà e delle lobby: Giacomo Possamai, 28 anni, già vice segretario nazionale dei Giovani dem e capogruppo in comune. La sua era già campagna elettorale in grande stile, con la «bella storia» che spazia dal papà direttore di giornali fino al lavoro per Unicomm, cioè supermercati e affini.

Invece, spetta a Dalla Rosa guidare il centrosinistra in cui il Pd ha dovuto piegarsi alla discontinuità. «A Vicenza serve una visione che la aiuti ad andare oltre il ricordo di un passato glorioso». Così la lista Vi.Nova ispirata da Isabella Sala, figlia dell’ex sindaco Dc e assessore al sociale. «Da adesso in poi» si chiama, non a caso, l’altra civica, mentre Coalizione civica trae ispirazione dalle idee eco-alternative di Arturo Lorenzoni, ora vice sindaco di Padova. Insomma, una prospettiva che va oltre il vecchio sistema in tilt. Con Variati era anche quello di Alessandra Moretti, volata proprio da assessora fino al ruolo di portavoce di Pierluigi Bersani, poi al seggio di Bruxelles e al cerchio di Matteo Renzi. La «Lady Like» di Vicenza si è schiantata tre anni fa sul misero 22% alle regionali. E non si è più ripresa.

Sull’altro fronte, Francesco Rucco: classe 1974, avvocato, sposato, due figlie, già capogruppo di An in Comune, poi convertito a fianco della leghista Manuela Dal Lago, infine promotore di Idea Vicenza. Si è candidato sindaco fin da novembre, sfruttando le incertezze di Lega e Forza Italia finché è rimasto il solo nome nel centrodestra. Ha avuto un bel problema di immagine con una decina di candidati in tre liste che lo sostengono (da Stefano Boschiero di Vicenza ai vicentini a Nicolò Naclerio vicino a veneto Fronte Skinhead): dai profili social sono spuntate affermazioni razziste, contro gay ed ebrei, espliciti riferimenti nazisti e mussoliniani.

Sparito il simbolo del Movimento 5 Stelle (che il 4 marzo valeva il 22,8% dei consensi in città), va segnalata la candidatura di Filippo Albertin di Potere al Popolo che venerdì sera sotto la Basilica Palladiana era affiancato dalla portavoce Viola Carofalo: «Siamo stati i primi a puntare l’indice su Bpvi e oggi siamo sempre il baluardo contro l’affarismo dell’alta velocità, della cementificazione e degli appalti».