Le prime scene scoppiano di energia: una banda di ragazze adolescenti nello spogliatoio, risate, scherzi, frecciate crudeli, il suono delle felicità e di una spensieratezza che le rende complici, malgrado tutto. Poi piano piano ognuna di loro da quella dimensione felice torna alla «realtà» quotidiana, le case, i genitori, i fratelli, i divieti la solitudine di una periferia. Bande des filles era arrivato come una folgorazione un anno fa, titolo di apertura della Quinzaine des Realisateurs, in sala da domani col titolo di Diamante nero.

 

 

Un film da non perdere, trascinante come la sua musica (e non solo Rihanna e beautiful like a diamond in the sky), commuovente, scanzonato, che ci fa conoscere delle ragazzine, adolescenti, nere delle periferie da vicino e fuori, o meglio contro gli stereotipi in cui vengono solitamente imprigionate.
Ma Bande des filles nuovo film di Céline Sciamma non è un film «sulla» vita difficile nelle periferie francesi – casomai sulla vita difficile nell’adolescenza tout court. L’autrice di Tomboy – ricordate? La impertinente ragazzina che si fa passare per maschietto – torna infatti alle sue passioni, gender, identità, femminile per comporre un romanzo di formazione, della scoperta di sè e del proprio essere al mondo il cui «strumento» privilegiato è ancora una volta il corpo. E cosa di più esprime disagio di una sedicenne che vive (appunto) nella banlieue francese schiacciata tra un esterno e un interno entrambi di feroce aggressività?

 

 

A casa Marieme – la stupefacente esordiente Karidja Touré – deve combattere il fratello che detta legge – per il tuo bene le ripetono gli altri – fuori la scuola, i maschi, il lavoro che la mette in un angolo. Poi Marieme incontra tre ragazze, Lady, Adiatou e Fily, una banda: ridono, fanno casino, ballano, rubano i vestiti nei grandi magazzini, si battono con le altre ragazze, non hanno paura di nessuno.

 

 

Lady, il capo, le ripete che tutto quello che fa deve farlo per se stessa. Marieme diventa Vic, inventa un suo femminismo, si stira i capelli, si mette i jeans skinny che più non si può, in tasca infila un coltello, e quando c’è da picchiare tira fuori una forza inattesa. Il fratello impara a rispettarla e anche la padrona dell’hotel dove la madre fa le pulizie. Lei però ha un segreto, ama il ragazzo amico del fratello. E una notte arriva a casa sua e gli dice: spogliati e ci fa l’amore.

Il fatto è che battersi in gruppo – sottinteso come i maschi – è una scelta da rispettare ma fare l’amore da donna come decisione individuale ti rende subito una puttana. E il destino di Marieme è segnato …

La materia narrativa con cui Sciamma si confronta è estremamente delicata: il film «banlieue», la cintura parigina dura di Hlm, le case popolari a alta concentrazione di scontro, abitate in maggioranza da neri o maghrebini, francesi certo, ma come si dice con quella patina di distorsione ipocrita del linguaggio oggi (adieu au langage diciamo con Godard) di «origine» altra. Per questo, e non solo, negli anni il paesaggio della banlieue è diventato letteratura (per capirsi in Italia saremmo dalle parti di Scampia/Gomorra): criminale, poliziesca, compassionevole, punitiva, a suon di rap e di immagini pompate e muscolose, ritmi fagocitati e notti incendiarie.

 
Sciamma sposta il punto di vista radicalmente. Non che quella realtà non vi sia, anzi è presente e con forza drammatica, ma il movimento del racconto che mette al centro la protagonista e le sue amiche cerca piuttosto la dimensione quotidiana di una lotta per la libertà. Confusa come si può essere solo da adolescenti, ed eroica nei suoi fallimenti e nella sua incertezza. Lo sguardo della regista segue Marieme e le sue trasformazioni con amore. Le ama queste ragazze che insieme a lei non devono dimostrare nulla, non sono «modelli» sociali anche se somigliano a tante altre che capita di incontrare nel metrò parigino in zona Les Halles.

 
Ma nemmeno incarnano una statistica da cinema «impegnato» che assolutizza i propri tempi. Sono al contrario personaggi unici, e semplicemente se stesse, miscela magnifica di spavalderia e tristezza, dubbi e ricerca incessante di un posto al mondo. Così le filma la regista, piene di vita in una trasfromazione anche solorosa che rifiuta le etichette e i ruoli già decisi, vicine e complici, lei e le ragazze,ma sempre nella distanza di una dimensione narrativa che inventa personaggi senza nascondersi nella «realtà».

 

 

Il «gender» delle ragazze diviene una scommessa di «genere» allargato, campo di battaglia culturale in cui si confrontano i modelli di rappresentazione e di appartenenza dei personaggi (la scena in cui la ragazza arriva nel cuore della notte dal ragazzo amato è bellissima) e della regista che per avvicinarli interroga il cinema(e l’immaginario) scompigliandone le categorie. Col soffio amoroso delle sue indomite stelle.