Tra gli aborigeni australiani, i churinga erano oggetti che rappresentavano il cammino che fecero gli antenati al «Tempo del Sogno», quando con il loro antico incedere diedero forma al mondo. I churinga sono un po’ quello che per gli occidentali sono i documenti d’archivio, custoditi gelosamente salvo poi esporli in mostre o musei, sottotitolati da racconti sulle gesta dei nostri antenati.
Il valore di tutti i documenti dipende da coloro che li maneggiano e li utilizzano, perché sono materiali da costruzione che agiscono anche retroattivamente, offrendo chiavi interpretative nuove. La stessa regola vale per intere epoche storiche che noi fondiamo, appunto, su documenti: il «mondo romano», quello «greco» o, soprattutto, il Medioevo, sorta di lungo e mitopoietico contenitore che è oggetto di un continuo revival. Epoca che ci è molto familiare grazie ai libri e ai monumenti che ci circondano, ma abbastanza lontana cronologicamente da far spaziare la fantasia, rendendola così oggetto di quell’«Uso e abuso della storia», che è anche il titolo del capolavoro di storiografia dell’antichista Moses Finley.

PERSEGUE invece obiettivi scientifici e divulgativi l’utilizzo dei documenti che fa il libro di Erberto Petoia, Storia segreta del Medioevo (Newton Compton, pp.378, euro 12,90) che, di là dal titolo e dalla copertina un po’ esoterici, racconta un Medioevo diverso. Diverso perché assunto da un punto di vista dichiaratamente storico religioso e antropologico, mostrando come, a parità degli stessi churinga-documenti, si possa dare differente luce e significato a fenomeni poco battuti dalla storiografia ufficiale, almeno da quella divulgativa.
Così, nelle quasi quattrocento pagine del volume, come in un dipinto di Bruegel, ci viene presentato un variegato mondo a metà tra la storia e l’antropologia, dove quattordici diversi fenomeni sono indagati secondo i principi, e a beneficio, di entrambe le discipline. I capitoli trattano tematiche che ancor oggi impegnano le scienze sociali: dal problema dei furta sacra delle reliquie alle affascinanti epidemie coreutiche delle quali il tarantismo pugliese sembra essere l’ultima traccia; da quella insolita Crociata dei bambini, che nel 1212 fece impazzire cronachisti e amministratori pubblici e religiosi, ai poco conosciuti santuari à répit, dove in un’«inutile tenerezza» venivano portati i bambini morti per un ultimo, estremo tentativo di battezzarli. L’Indice annovera anche saggi più classici come una storia del mulino, un’analisi dell’utilizzo del velo per le donne nella cultura cristiana, la leggenda della Vera Croce e il problema dell’infanticidio, sia quello contraccettivo sia quello «rituale» di cui veniva accusata spesso la comunità ebraica.

INTERESSANTI sono anche l’analisi del cannibalismo endotico europeo o la pittura infamante, utilizzata perlopiù a scopo politico, il capitolo sulla sessualità come si evince dallo spoglio dei Penitenziali e il mito di Magonia, un immaginario regno celeste frequentato da pirati dell’aria che inviavano tempeste sui campi degli uomini. Utile inoltre, per chi si occupa di tradizioni popolari, il capitolo sulla purificazione della puerpera, che illumina su rituali che ancora si incontrano in zone periferiche dell’Europa. Al termine del lettura del volume di Petoia viene da pensare che i churinga, i documenti come anche i testimoni, non numerantur, sed ponderantur, vanno soppesati, non contati.