Un po’ per sfuggire al contagio, un po’ per tradizione, sei amici si ritrovano in una casa fuori porta, senza acqua corrente, senza luce elettrica, senza televisione. E, come da tradizione, si raccontano delle storie. Il primo a prendere la parola è americano e si chiama Steven. Il mio racconto, dice, comincia a Chicago, dove una bella donna di nome Beth fa scalo in attesa di tornare a casa a Minneapolis.

È al telefono con un suo ex, con cui ha passato le ultime ore. Tossisce un po’, mentre lo saluta. È solo un po di stanchezza, sarà il jet lag, gli dice lui. In realtà, da 24 ore Beth è malata e porta nel corpo un virus sconosciuto. Fra un giorno sarà morta. Nel frattempo, avrà avuto modo di contagiare diverse persone, a Hong Kong a Chicago e infine a Minneapolis, dove vivono il marito e il figlio, che sarà il prossimo a morire, dopo di lei.

IL VIRUS avanza rapidamente, moltiplicandosi geometricamente tra una popolazione che ogni giorno si tocca il viso centinaia di volte, che si stipa nei trasporti pubblici, nei cinema, nei centri commerciali e al lavoro. In pochi giorni è il panico. Con l’anarchia arrivano gli sciacalli, gli inventori di notizie finte, quelli che speculano sull’ignoranza e sul desiderio di trovare una cura. Ma c’è anche chi lotta nell’ombra, con tenacia e sacrificio, come la ricercatrice Elly, che finirà per trovare il vaccino.

Tra questi c’è il dottor Ellis Cheever, capo del dipartimento di studi epidemiologici che il presidente mette a capo delle operazioni di lotta al contagio. Ellis è una brava persona, ma quando il ministro degli interni decide di mettere tutto lo stato dell’Illinois in quarantena, telefona alla moglie e le dice di lasciare Chicago. Viene scoperto e pubblicamente denunciato. Ma resta al suo posto, perché non c’è nessuno migliore di lui. Il virus tira fuori in noi dei sentimenti contrastanti: egoismo ma anche pura generosità: lontano dai riflettori, Ellis dona la sua dose di vaccino ad un bambino che ne avrebbe avuto diritto solo alcuni mesi dopo.

La tua storia è di una noia mortale, dice George, ma mi piace l’idea che nella crisi l’autorità è affidata ad un nero, Ellis. Perché è nero, no? Ovviamente i politici bianchi non si fidano di lui, ma lo lasciano al suo posto perché non hanno alternativa. Questo è abbastanza realista. Solo che la tua storia non finisce come dovrebbe. Questo elogio della complessità umana… In realtà è una vera semplificazione.

La mia storia è molto più realista. Comincia anch’essa con una bella ragazza bionda in viaggio. Lei e il fratello sono andati a visitare un cimitero di famiglia in campagna. Lui si annoia, scherza e cerca di farle paura. Solo che non c’è nulla da scherzare. Un tipo errabondo, che sembrava un semplice idiota di paese, si abbatte sul fratello e lo sbrana.

BARBARA fugge e trova rifugio in una casa isolata. È qui che incontra un uomo di colore. Ora, questo bellissimo fiore bianco si trova tra due orrori che potrebbero sporcarne la virtù di sangue. Il primo è quello dei morti viventi che sempre più numerosi cercano di entrare nella casa. Il secondo, più insidioso, è il nero. Una donna bianca può morire, non è la fine del mondo. Ma se finisce tra le braccia di un nero, allora non va. Per il momento questo si comporta bene. Ma poi? Ci si può fidare di lui? L’America non è mai uscita fuori da questo razzismo di fondo. È il vero virus che impregna l’aria.

Steven, George, nelle vostre storie non c’è traccia d’amore. La mia storia è più anarchica perché è una storia d’amore. A parlare è un francese, si chiama Leos ma il suo vero nome è Alex, come l’eroe della storia che si appresta a raccontare. Alex è un romantico senza concessioni, senza vergogna. È ossessionato dall’idea di trovare l’amore puro. Non crede nell’amore moderno. In giro c’è un virus che uccide quelli che amano senza sentimento, che consumano corpi senza provare nulla. Il mio eroe è un Prometeo dell’amore, un giovane innamorato o un semplice adolescente, che rivolta le macchine per fanfaronaggine e allarga le braccia per sentire il vento sulla pelle.

WERNER: Leos, dici bene, per il cane! E come sono belli i tuoi eroi, così giovani e puri. Sono dei bambini dalla pelle d’ebano. Ma forse è proprio questo che mi tiene lontano da loro. L’amore unisce gli opposti. Tu li separi. Il basso e l’alto. La bellezza e la bruttezza. E quindi anche il virus e l’amore. Hai dimenticato la lezione del Casanova. Hai dimenticato il fiato mortifero delle camelie. Hai dimenticato persino Hollywood. In Via col vento c’è più anarchia che nel tuo racconto. Non sai cos’è una città impazzita. Osare la grazia vuol dire andare fino alla fine dell’orrore.

La mia storia è quella di un uomo che sprofonda insieme ad una città in una notte sempre più oscura. Si chiama Ossorio ed è un eroe di una guerra perduta. Arriva in treno in una città sotto assedio, in piena guerra civile. Tutto è perduto. C’è però un ultimo battello. E tutti cercano di salirci, tranne quelli che hanno già rinunciato a vivere, e che in realtà sono gli unici a non essere già morti. Ossorio cerca una donna di nome Clara. È la sua malattia. Io stesso, del resto, sono malato, e voi lo sapete, fra qualche ora sarò morto.

Che storia incredibile. E come la racconti bene, Werner. Si vede che tu e Ossorio avete lo stesso morbo e gli stessi appetiti. Ma del morbo vi interessa solo l’esteriorità. Nel tuo racconto si capisce tutto della notte. Sembra di essere in quei cabaret, di respirare a pieni polmoni l’aria dolciastra della morte. Però non dici nulla di quello che il morbo fa alla carne. Io ho sempre voluto essere un medico. E poi, non so cosa sia successo, ho dimenticato di diventarlo.

Ho sognato una volta di far partorire una donna, ma il bambino non era un ometto paffutello, ma un ibrido mostruoso tra l’uomo e la mosca. Vi fa orrore? Ma voi non avete capito nulla della carne! Il bello e il brutto, il malato e il sano non esistono. Esiste solo la carne e i suoi cambiamenti. Un’idea non è né giusta né sbagliata. È forse giusto uccidere? Per una certa configurazione della carne, che chiamiamo uomo, no. Ma per la configurazione ragno, uccidere è giusto. Perché è un’idea adeguata alla configurazione della sua materia. Ecco perché il virus è una cosa meravigliosa.

Esso entra nella carne e ne scombussola la configurazione, generando idee nuove. La mia storia è semplice. C’era una volta un certo dottor Emil Hobbes, convinto che il mondo moderno, con la sua morale, ha represso i veri istinti umani. Per ritrovarli inventa un parassita che si insinua sottopelle. Hobbes pensa di poter controllare la sua creatura. Ma ha torto. Il demone si diffonde tra gli abitanti di un complesso residenziale, provocando una sorta di orgia generalizzata, uno stato di natura in cui ogni uomo è un predatore sessuale con gli altri uomini.

VOI EUROPEI e americani pensate sempre ad andare da qualche parte, dice Apichatpong. A fuggire da una casa, da un complesso residenziale, da una città o ancora da un porto… È perché in fondo vi manca il colonialismo. Volete andare a colonizzare altri luoghi. Il virus risveglia in voi racconti di predatori. Io voglio raccontare un’altra storia. Non è una storia che infetta chi la riceve, ma che al contrario funziona come un balsamo o una cura. Una storia in cui ci si addormenta e ci si sente meglio.

Liberamente ispirato da: Contagion (Steven Soderbergh, 2011), La notte dei morti viventi (George A. Romero, 1968), Rosso sangue (Leos Carax, 1984), Nuit de chien (Werner Schroeter, 2008), La Mosca e Il demone sotto la pelle (David Cronenberg, 1986 e 1975), Tropical Malady e Cemetery of Splendour (Apichatpong Weerasethakul, 2004 e 2015).