Dal deserto al mare, il viaggio di Muzafari è un itinerario che affonda dentro la Storia e l’animo umano. Passando per un melograno e una melagrana: un albero segreto, «l’ultimo della terra», e tre frutti di vetro sono il filo che lega il racconto, tra flashback, flussi di coscienza, presente. L’ultimo melograno (Chiarelettere, pp. 272, euro 16,90), opera dello scrittore curdo iracheno Bachtyar Ali, porta in Italia per la prima volta la letteratura di un autore tra i più amati nel mondo curdo e mediorientale, primo dal Kurdistan a essere tradotto in inglese e vincitore di numerosi premi letterari.
Penna fluida e audace, Ali (classe 1966, vive e lavora in Germania) ricrea tra le pagine della sua opera un intero mondo, che è particolare per i chiari riferimenti alla storia mediorientale e curda, ma è anche universale nel suo attraversare i temi che hanno scandito e scandiscono la vita dell’uomo: l’amore, l’amicizia, la passione per la politica e la sofferenza dei suoi fallimenti, la perdita, la paternità e la fratellanza, la spinta atavica verso il cambiamento e la rivoluzione. In L’ultimo melograno si ripercorrono, quasi sfiorandoli, gli ultimi decenni del secolo scorso, la rivolta curda contro la Baghdad di Saddam Hussein, la repressione, l’immaginata vittoria fino alla guerra civile.
Con luoghi simbolici che ritmano il racconto, immagini plastiche di sentimenti e necessità, Ali tesse una tela onirica, che richiama alla dolcezza e la brutalità del filone fiabesco nord-europeo. La ricerca di un figlio diventa un viaggio fantastico, tra castelli di vetro, palazzi nella foresta, diluvi rigeneranti e bianche sorelle.
Abbiamo intervistato  Bachtyar Ali, in vista della sua partecipazione a Tempo di Libri domenica 11 marzo.

Leggendo il romanzo, un viaggio onirico, a tratti fiabesco, emerge la forza delle metafore. Prima di tutto quelle rappresentate dai vari personaggi: Eikrami sembra interpretare la purezza della rivoluzione, Jakubi le contraddizioni della politica, il grande Seriasi il popolo, il terzo Seriasi le sue ferite. Cosa voleva dire attraverso le loro voci?

Cosa può produrre una società che vive nella guerra e nella paura eccetto i grandi paradossi? La domanda principale nel testo è: cosa può essere salvato dopo una catastrofe? Dopo la sua liberazione, Muzafari, il protagonista, si accorge che ormai il solco tra morale e politica, vittoria e libertà è molto profondo. Comprende molto rapidamente che la rivoluzione non era in grado creare un mondo migliore e che i rivoluzionari, in fondo, non erano migliori dei precedenti governanti. Così, cerca di evitare tutte le divisioni. Non vuole dimenticare il suo compito di padre, ma allo stesso tempo rimane un essere umano. Il paese è stato distrutto e c’è ben poco da preservare, ma Muzafari non immagina vie di fuga dalle sue responsabilità: la rivoluzione per lui significa liberare le persone. La salvezza è il cuore della mia letteratura.

Alcune metafore sono rintracciabili anche nei luoghi descritti: il mare, il deserto, il castello della seconda prigionia di Muzafari. E così il diluvio che stravolge i destini, o il melograno che richiama al desiderio di pace e unità. Come ha immaginato il ruolo dei diversi paesaggi?

Scrivere un romanzo significa anche creare luoghi. A volte, questi stessi possono rivelare di più sul contenuto di un romanzo rispetto ai personaggi o agli eventi. I personaggi del libro agiscono da soli contro i grandi poteri, sono combattenti solitari. La differenza tra ciò che possono fare e ciò che dovrebbero fare è enorme. Non possiedono un grande margine di azione contro alcuni fenomeni giganteschi, e inoltre, cercano sempre di isolare coloro che li richiamano. Per questo, finiscono espulsi e circondati. I luoghi come il mare, il deserto, il forte, incarnano tale isolamento.

Il Kurdistan nel suo racconto resta sullo sfondo, con la sua storia che emerge a sprazzi, nei racconti dei peshmerga e dei politici. Quanto «L’ultimo melograno» è una storia curda e quanto è una «novella» universale?

Il conflitto tra regionalismo e universalismo è forte nel mondo moderno. La religione e il nazionalismo hanno innalzato un muro tra noi e i valori universali. In Oriente, i cittadini e i gruppi sono preoccupati per la loro identità e questo può solo condurre alla guerra. I vari paesi hanno dimenticato o addirittura non hanno scoperto il loro lato universale, sono prigionierI della propria identità nazionale o religiosa. Attraverso la narrazione della storia locale, cerco di convincere le persone a superare la loro relazione fobica con il mondo esterno. Le mie storie sono locali, ma i valori che voglio offrire sono universali.

In uno degli ultimi capitoli Jelali Shams, parlando dei tre Seriasi, li descrive come «figli di questo paese» e le loro ferite, «le ferite della nostra patria». La dicotomia più potente è tra la guerra civile, fratricida, e il legame tra il gruppo di amici, che si muovono nel mondo come fratelli. Alla fine di una storia amara, le loro figure restano pulite, non sporcate dalla violenza esterna?

Una questione importante per me: come puoi lottare per la vita e la libertà in un mondo totalmente politicizzato? Nel mio romanzo, la politica ha a che fare con il declino mentale ed emotivo, i personaggi cercano modi diversi per rimanere vivi e avvicinarsi alla libertà, senza essere politicamente attivi. Provano a rintracciare una via attraverso l’amore, l’arte e la fratellanza. La politica in Oriente è un gioco crudele con la vita degli altri. I personaggi di questo romanzo sono tutti indifesi. Né la società né Dio possono proteggerli, quindi devono proteggersi da soli e possono farlo solo attraverso la solidarietà.

Come si inserisce quest’opera nella letteratura curda? Quali sono le caratteristiche preponderanti della cultura letteraria del Kurdistan?

L’ultimo melograno è il mio terzo romanzo. Non è mai stato usuale, per gli autori del Kurdistan, criticare così fortemente la rivoluzione e la storia curda. La letteratura è stata spesso uno strumento politico, dove non è mai esistito uno spazio per lo scetticismo e la disperazione. Con una tale visione, dovresti sempre pensare positivo e credere nella vittoria. Io ho cercato di raccontare anche il lato oscuro di questa storia. Era come una guerra contro la letteratura ideologica e populista. Oggi è diventato normale pensare in modo critico, credo che L’ultimo melograno, su questo punto, abbia svolto un ruolo positivo.

E come si inserisce nella sua opera questo libro?
Successivamente, ho scritto otto romanzi. Ma il tema della «salvezza» è rimasto sempre centrale. Sto scrivendo in uno stile più realistico ora, ma le domande «cosa puoi salvare» e «come puoi salvare» rappresentano ancora un mio rovello.
«L’ultimo melograno» è un viaggio nel Kurdistan del secolo scorso. Cosa resta di quegli anni nella società e cosa è cambiato?
Sfortunatamente, non è cambiato molto da allora, i gruppi fascisti sono ovunque. Eliminare il popolo curdo è fondamentale per i governanti autoritari dell’Oriente, milioni di curdi non sono in grado di usare la loro lingua madre, l’identità curda viene sistematicamente ignorata. Eppure, loro volevano solo sopravvivere evitare le minacce più gravi. Ma probabilmente, quella una strategia era sbagliata: non devi solo essere soddisfatto della sopravvivenza, una nuda vita non è abbastanza. C’è molto da fare all’interno della società curda, è necessario distruggere gran parte delle strutture tradizionali, ma il caos politico in Medio Oriente e la sistematica guerra di annientamento contro i curdi impediscono qualsiasi mutamento radicale.