«Il mio nome? No, no, non serve». E allora lo chiameremo Carlo. Quaranta anni appena compiuti, lo incontriamo di venerdì a mezzogiorno nella piazzetta principale di Comacchio. Con la sua bicicletta, cappello guanti e giaccone per affrontare il freddo e l’umidità di questo paesino del ferrarese, vicino al Veneto e a meno di 50 chilometri dal Delta del Po. «Cos’ho votato? Ho votato per Matteo Salvini, e lo rivoterei anche domani se me lo chiedessero». Te lo dice in faccia, senza il minimo dubbio. E aggiunge: «Perché bisogna cambiare, perché qui la sinistra ha governato da decenni e io non ho un lavoro fisso, con i lavoretti in nero mi pago le serate e le pizze il sabato sera con gli amici ma dipendo ancora dai miei genitori. E allora ti dico che il centro sinistra deve finire sotto terra, non farsi più vedere punto e basta».

ACCANTO A LUI tre quasi sessantenni, un contadino e due operai. Dicono di essere stanchi, la pensione il loro orizzonte di speranza. Un’attesa che però vedono allungarsi, anno dopo anno. «Perché Lega? Perché Salvini ha promesso di abolire la riforma Fornero», dice uno di loro. «Lo vedi Claudio là in fondo alla via? Va per i 65 anni e ancora non può smettere di lavorare, invece ai migranti danno vitto, alloggio e tutto quel che serve. Ti sembra giusto?». «Ho votato 5 Stelle», dice un terzo signore sulla sessantina. «Ma avrei potuto benissimo votare Lega, per me è uguale. Qui bisogna cambiare, e se tu hai votato sinistra non dirlo – aggiunge in dialetto, ridendo sotto i baffoni bianchi – che qui quelli rossi non li vogliamo più vedere».

Il risultato alla Camera nel collegio 4 Ferrara-Mare ha visto Lega, 5 Stelle e Pd praticamente alla pari, tutti al 27.4%. Ma la destra ha stravinto come coalizione. Così l’avvocata Tomasi è passata col 39,6%, mentre il ministro Franceschini è stato sonoramente bocciato col 29%, ripescato altrove grazie al paracadute del proporzionale. Al senato per il Pd non è andata meglio. Nel collegio di Ferrara-Imola la sfida era tra la prodiana Sandra Zampa e l’ex missino ora FdI Alberto Balboni. Un candidato dell’ultradestra contro un volto noto Pd che al Senato aveva dedicato 5 anni alla difesa dei più deboli, opponendosi ai Centri di identificazione ed espulsione e lavorando per i diritti dei minori stranieri. Risultato? Zampa fuori dal parlamento. Non è successo solo a Ferrara, in tutta l’Emilia-Romagna il Pd ha tenuto a stento nelle grandi città, a Bologna e provincia, a Reggio, in parte a Modena. Per il resto l’ondata azzurro Salvini e giallo 5 Stelle ha sommerso il rosso sempre più sbiadito di un Pd e di un’amministrazione che, a livello regionale, resta pur sempre il prodotto di un’astensione monstre.

NEL 2014, alle ultime elezioni regionali, ad essere eletto governatore fu il democratico Stefano Bonaccini ma votò solo il 37,7% degli aventi diritto contro il 68 delle elezioni precedenti. Un campanello di allarme che forse ha suonato a vuoto per quattro anni di fila. Oggi in Emilia-Romagna la prima coalizione è quella dell’asse Salvini-Berlusconi (rispettivamente con il 19% e il 10% dei voti, a cui bisogna aggiungere il 3% di FdI), il primo partito il Movimento 5 Stelle (con il 26,94% dei voti, pochi decimali sopra il voto Pd). La sinistra di Liberi e Uguali fa meglio che altrove in Italia, ma resta comunque sotto il 5%. I dati dicono che rispetto al 2013 il Pd in regione ha perso 350 mila voti, la Lega ne ha guadagnati 389 mila. Un boom, quello leghista anche dovuto alla martellante propaganda televisiva dei volti noti del salvinismo. «I migranti sono ovunque, siamo invasi», dicono gli elettori-telespettatori, nel ferrarese come in tutta la Regione, e questo nonostante l’Emilia sia tutt’ora un territorio dove l’accoglienza ha funzionato bene, e dove molti sono stati i progetti di integrazione messi in campo. Ma non ci sono solo fattori nazionali, o geografici visto che Ferrara non è lontanissima dal Veneto verde Lega.

NEL CAPITOLO dedicato a Ferrara nel volume «Viaggio in Italia» edito dal Mulino l’ex sindaco oggi sindacalista Cgil Gaetano Sateriale ha raccontato le difficoltà di un territorio che in passato era riuscito a togliersi di dosso l’etichetta di «mezzogiorno d’Emilia», con una buona politica industriale e una saggia amministrazione nel corso dei decenni. La crisi, il terremoto e il crack della locale Cassa di Risparmio hanno però lasciato il segno. «Nella stagnazione conseguente – ha scritto Sateriale – quel che in parte ha ceduto è stato il tessuto economico legato a un mercato esclusivamente interno e locale, incapace per dimensione e competenze di misurarsi con una domanda e una competizione ben più vaste». Il crack di Carife è stato un piccolo simbolo dell’incapacità della classe dirigente Pd di risolvere in tempi utili problemi sentitissimi, visto che il disastro bancario ha colpito migliaia di piccoli risparmiatori. «Le banche sono state salvate e i risparmiatori ancora non hanno riottenuto i loro soldi, quindi nell’urna hanno poi messo la x dove doveva metterla, perché c’è chi ci ha ascoltato e chi no», ha sentenziato Giovanna Mazzoni, ferrarese e volto notissimo dei comitati No Salva Banche.

A PROPOSITO di denaro: a Ferrara e provincia il reddito procapite è di quasi 25 mila euro l’anno (dato 2016), poco al di sotto della media nazionale ma decisamente più basso dei 33 mila euro di media dell’Emilia-Romagna nel suo complesso. La provincia di Ferrara nel suo contesto è povera, e la crisi ha segnato profondamente la fiducia delle persone. Dal 2008 al 2014 la variazione del reddito pro capite – dati Istat – ha toccato un meno 7%. Un tonfo mentre altrove in Regione l’economia reggeva. Dati che aiutano anche a mettere in prospettiva i risultati superiori ad ogni attesa che la Lega di Salvini ha avuto in questi territori. A Ferrara, a Comacchio, ma anche 40 chilometri più in là, a Goro, il paese famoso per le barricate anti immigrati del 2015. Nella frazione di Gorino la Lega ha stracciato la concorrenza, portandosi a casa 6 voti su 10. Razzismo? Paura dei migranti? L’ostilità c’è, ma non è solo questo. Basta fare un giro nel porto di Goro, con le barche dei pescatori ancorate una accanto all’altra. I discorsi che si sentono non parlano di africani, ma di pescherecci, vongole e politiche della pesca. La parola che spunta sempre fuori quando si parla di politica è una: Europa.

La neoeletta leghista Maura Tomasi non fa mistero di averci puntato: «Abbiamo detto prima gli italiani, ma per noi quello slogan vuol dire andare a Bruxelles a sistemare le cose, vuol dire difendere i nostri posti di lavoro». «Ho votato 5 Stelle – dice un pescatore – perché è da anni che mio figlio tenta di comprarsi una barca tutta sua, e invece le banche gli dicono sempre di no». Questione complessa quella sulla pesca, con rivalità che non serve cercare dall’altra lato dell’Adriatico, basta guardare su a nord verso il Veneto. Ma se si chiede una sintesi a questi uomini di mare la risposta è sempre uguale. «Le regole europee sulla pesca ci stanno strangolando, qui non usciamo più come una volta», dice un signore di 50 anni mentre scarica casse piene di pesce. Poi aggiunge sottovoce: «Allora quando andiamo al largo per fare due soldi ci tocca violare la legge, ma non sono quelle le regole che noi vogliamo. La Lega ha promesso di difenderci, speriamo ora Salvini faccia quel che ha detto».