La prima volta che l’avevamo vista, Santa Maria ad Cryptas, a pochi giorni da quel tragico 6 aprile di dieci anni fa, era una chiesa ferita, con il suo portale a sesto acuto puntellato in emergenza, cedimenti strutturali sulla parete laterale di destra. All’interno, c’erano molti calcinacci in quello spazio a scrigno costituito da una sola navata: alcune figure di santi – come san Martino e san Giorgio – erano frammenti da rimettere insieme come fossero un puzzle. In controfacciata, il Giudizio universale aveva retto all’urto della sciagurata notte e agli assestamenti dei giorni seguenti, presentando solo qualche piccola fessura.
Incastonata sotto il monte Circolo, gioiello del romanico abruzzese risalente alla metà del XIII secolo (il suo ciclo di dipinti più antichi è un esempio di committenza laica medievale, quando feudatari di origine francese, giunti al seguito degli Angioini, pagarono la decorazione), Santa Maria ad Cryptas si prepara oggi a riaprire i suoi battenti. Con emozione, varchiamo la sua soglia, dieci anni dopo, e ci inoltriamo in un ambiente in penombra che non riesce a nascondere la maestosità di un arcobaleno di colori. Percorriamo, abbagliati, in lungo e largo quella navata che avevamo dovuto abbandonare in tutta fretta, sotto la minaccia del rombo della montagna scossa dal sisma.

[object Object]

Luogo simbolico di Fossa, borgo duramente colpito dal terremoto del 2009, la chiesa è interamente ricoperta di affreschi – arco trionfale, presbiterio, abside, pareti laterali e controfacciata con cicli tematici che abbracciano il nuovo e vecchio Testamento, inoltrandosi fino al Rinascimento. È da qui, ha più volte auspicato il sindaco Fabrizio Boccabella, che potrebbe ripartire la vita di una comunità cui ancora è negata la sua storia, a causa di una ricostruzione lenta, troppo lenta. Intorno a Fossa, c’è il piccolo paese di san Lorenzo, una serie di casette in legno edificate grazie all’aiuto degli alpini che hanno permesso ad alcune famiglie di rimanere dove erano nate. Nella valle, si erge il Mubaq, il museo dei bambini, un edificio rosso circondato da un giardino pieno di sculture giocose, «creatura» caparbiamente voluta dall’artista e docente dell’Accademia, Lea Contestabile. Un’attività che la fondatrice tiene tutta sulle sue spalle e che avrebbe bisogno di un sostegno forte da parte delle istituzioni.
Poco lontano, si estende l’importante sito archeologico della Necropoli vestina, area sepolcrale frequentata per quasi mille anni (dal IX al I secolo) che a causa dell’allineamento di pietre somiglianti ai menhir è chiamata la «piccola Stonehenge». Tutto intorno, la zona è disseminata di monasteri e fortezze, luogo di beatitudini solitarie e di arroccamenti difensivi. Un territorio che merita di essere esplorato e, naturalmente, abitato. Non dimenticato.

Sono più di cinquecento le chiese di Aquila e provincia e il lavoro decennale sul patrimonio postsisma non sempre ha avuto una sua continuità, subendo arresti incomprensibili. Il Duomo del capoluogo, ad esempio, se ne sta ancora bardato da puntellature: non sono mai iniziati i lavori sulla sua struttura – un blocco dovuto, tra le altre cose, al conflitto sulla titolarità degli interventi tra Curia ed enti pubblici. L’uscita dall’impasse è annunciata per questo 2019.

Accanto, invece, la chiesa delle Anime Sante – la cui cupola del Valadier sbriciolata fece il giro del mondo divenendo un’icona della sofferenza – è perfettamente agibile, tornata «in sé». I lavori sono terminati, si sono recuperati i decori originali (quelli perduti sono stati sostituiti da copie in creta) e si sono spesi circa 6,5 milioni di euro, in parte elargiti dal governo italiano, in parte dalla Francia. In una cappella laterale, si è scelto di ricordare, scritti a parete, tutti i nomi dei morti sotto le macerie di quel 6 aprile. E ci sono anche le loro foto, in un album da sfogliare in rispettoso silenzio.

Fuori, una volta attraversata la piazza, si può passeggiare per il centro storico della città. Il rumore dei cantieri è costante, molte delle zone rosse ora sono percorribili, alcuni palazzi restaurati, i ponteggi sono diminuiti, diversi negozi hanno riaperto, ma la vita non scorre in quelle strade se non di sera, quando i giovani scelgono i locali per passare il loro tempo libero. Diversi appartamenti sono in vendita, le agenzie immobiliari non mancano. Completamente fasciata da tubi innocenti è la scuola De Amicis, a ridosso di san Bernardino da Siena.
A questo edificio, nelle cui aule hanno imparato a leggere e scrivere gran parte degli aquilani, dhanno dedicato un concerto cantautrici come Fiorella Mannoia e Gianna Nannini, devolvendo i soldi per la ricostruzione, ma a dieci anni dal terremoto tutto è rimasto com’era, fra liti e garbugli burocratici. Lì vicino san Bernardino è risorta, riscoprendo anche i colori originali, un azzurro pastellato, del suo soffitto dipinto.

In alcuni casi, i restauri hanno permesso di ritrovare il palinsesto medievale della città inghiottito dal Barocco, creando qualche problema di «lettura». Cosa fare di fronte a pareti affrescate trecentesche riemerse col sisma o stucchi e decori quattrocenteschi coperti da successive costruzioni tra il ’600 e il ’700? A san Domenico, è venuta alla luce una bottega di ceramiche con molti reperti e si sta pensando di dedicare un museo ai manufatti.
Infine, la basilica di Collemaggio: la chiesa di papa Celestino è stata restituita agli aquilani, un anno e mezzo fa, dopo lavori ad alto grado di difficoltà. Era stata gravemente danneggiata, scoperchiata, con crolli di intere parti architettoniche, come la zona del transetto divenuta una finestra enorme spalancata sul cielo indifferente.

(Si ringraziano Maura Iannucci, socia Archeoclub e restauratrice; l’ingegnere Giacomo Di Marco; la docente e artista Lea Contestabile)