Lo storico quartiere produttivo, oggi Macrolotto 0 si apre appena varcata Porta Pistoiese. Dalle vie strette tipiche dei centri storici Medievali si passa a quelle più larghe e regolari. La lingua cinese domina le insegne dei negozi: dal parrucchiere al fotografo per matrimoni, dal ferramenta al grafico pubblicitario. Qui emerge la caratteristica storica del distretto tessile: l’alternarsi quasi ritmico di abitazioni e piccole fabbriche. Alcuni capannoni sono abbandonati, invasi da erbe spontanee. La presenza dell’imprenditoria cinese è evidente anche nella periferia di Prato, nella piana del Macrolotto 1, dove sorgono molte imprese del pronto moda. Nel 2013 una di queste fabbriche bruciò uccidendo 7 persone, durante la notte. I capannoni si susseguono senza soluzione di continuità. Hanno nomi di donna come Luisa, Sabrina o iniziali che ricordano altri brand: H&D e M&K. Si vedono pellicce sintetiche dai colori sgargianti caricate sui furgoni e un andirivieni di camion colmi di rotoli di stoffa.

Alcuni di quei capannoni tutti uguali non sono solo luoghi di lavoro ma anche di vita. Sono i panni stesi nell’ultimo sole autunnale a rivelarlo.

Proprio la commistione tra luogo di vita e di lavoro permette di produrre anche di notte, se necessario. È una delle caratteristiche della competitività cinese a Prato, insieme all’estrema mobilità dei lavoratori. È quanto emerge da un dossier di Antonella Ceccagno, docente di lingua cinese e di sociologia asiatica all’Università di Bologna. L’arrivo dei terzisti cinesi, già negli anni ’80, portò vantaggi a molte aziende italiane che rinunciarono a delocalizzare, grazie all’abbassamento dei costi, e riportarono in patria alcune produzioni.

La parcellizzazione dell’industria tessile pratese cominciò alla fine degli anni ‘40 quando le grandi aziende esternalizzarono alcune lavorazioni. Così nacquero una miriade di piccole imprese, lavoratori a domicilio forniti di macchinari dai committenti. «Una modalità che generò un sistema di auto-sfruttamento tra i pratesi», spiega Massimiliano Brezzo, segretario provinciale Filctem-Cgil di Prato. «Lavoravano anche 16 ore al giorno, alcuni in salotto», sottolinea. «Con l’arrivo dei lavoratori cinesi i maglifici pratesi cominciarono a sfruttare la loro velocità, producevano 7 giorni su 7, giorno e notte», spiega il sindacalista. Presto le ditte cinesi si trasformarono da terzisti a committenti, mantenendo la dimensione dell’auto-sfruttamento.

Il segretario della Filctem definisce «sfruttamento consenziente» quello che caratterizza la seconda evoluzione del distretto: «L’immigrazione di concittadini dalla Cina, disposti a lavorare intensamente per 4 o 5 anni per poi impiantare un’attività in loco o nel paese natale». Ai lavoratori cinesi viene garantito vitto, alloggio e trasporto nei luoghi di lavoro. In questo sistema, radicato nell’ambito della moda e della confezione di abiti, legalità e illegalità si mescolano: «Le aziende di pronto moda, in molti casi legali, si rivolgono a confezioni, spesso irregolari, in nero». L’abbigliamento cresceva mentre il tessile calava. Esigenze di flessibilità e rapidità spinsero il pronto moda cinese ad avvalersi di tintorie così intrecciandosi con lo storico distretto tessile pratese.

Dopo l’incendio della Teresa Moda l’attenzione degli ispettori si focalizzò più sui temi della sicurezza sul lavoro che sulle condizioni di sfruttamento dei lavoratori. Vennero messe sotto la lente di ingrandimento le confezioni, l’anello sacrificabile del sistema del pronto moda. Secondo Brezzo i controlli dovrebbero, invece, concentrarsi sulle tintorie, che ricevono la materia prima dal committente e la distribuiscono ad una miriade di confezioni. «A Prato abbiamo il monopolio della produzione di pronto moda in Europa e il Macrolotto 1 è la vetrina» spiega il segretario Filctem e aggiunge: «Non risulta commistione con i marchi dell’alta moda». Anche i pronto moda italiani cercano di trasferirsi nell’area pratese. Lavorare nella legalità in questo settore, però, è molto difficile, perché c’è una concorrenza sleale fortissima.

«Abbiamo cominciato a ricevere informazioni e denunce su cosa avviene nelle confezioni quando sono stati assunti lavoratori specializzati di origine italiana e straniera, che avevano perso il posto durante la crisi», racconta il sindacalista della Cgil. I contratti riportano in busta paga dalle 4 alle 6 ore ma quelle effettive sono 10, senza tredicesima e senza ferie. I lavoratori più ricattabili, a rischio di espulsione in mancanza di un contratto di lavoro, vengono assunti a quattro ore, sfruttati e malpagati. Il sistema illegale è in continua e veloce trasformazione: «Nel mese di agosto ha preso fuoco una casa dove hanno trovato 17 posti di lavoro vuoti e due morti al piano di sopra: così è emerso il problema delle case-fabbrica».