La vie d’abord, anzitutto la vita. Si potrebbe descrivere così l’immagine del Sessantotto raccontato nel romanzo di Pierluigi Sullo, La rivoluzione dei piccoli pianeti. Un romanzo nel ’68 (lastarìa, pp. 291, euro 15). Il disegno di copertina è tratto dal numero di gennaio del supplemento del manifesto per il ventennale del ’68, ripubblicato quest’anno, mese per mese. La vicenda, ambientata a Roma, ha per protagonista Enrico, studente liceale arrivato alla soglia dell’esame di maturità. Ma in una storia «del ’68» questo ruolo è destinato a diventare collettivo in una galleria di storie che tiene insieme compagni di scuola, insegnanti e famiglia. Una vera e propria fotografia in movimento dell’anno della ribellione che mette a fuoco quel passaggio come momento formativo.

LA STORIA PRENDE le mosse dagli ultimi mesi del 1967. Si apre con una scazzottata in classe tra Franco e Italo Breda, il «nazista», in realtà un «disgraziato che tutti consideravano con indulgenza come uno squilibrato». Quel giorno però era morto il Che e qualcosa stava per cedere, anche negli schemi quotidiani di un liceo romano. Il romanzo comunica efficacemente il senso della scoperta in quei mesi tumultuosi e decisivi tanto nel mondo, quanto nelle vite di un piccolo gruppo di amici che sta facendo il suo ingresso nella vita adulta.

IL TEMPO SCORRE rapidissimo e ogni vicenda diventa una scoperta. In primo luogo il sesso, il desiderio nelle sue molteplici espressioni. Una notte irripetibile con Giulia, la madre di Rosa (amore fugace dell’estate precedente), realizza il sogno in stile Il laureato, di cui Enrico ha appeso la locandina. Poco importa allora se la stessa notte la figlia l’ha passata con Federico, l’amico di un viaggio che è destinato a proseguire.
Il viaggio, appunto, è la seconda traiettoria della scoperta. Nelle scampagnate verso la Sicilia tutto è nuovo agli occhi di un gruppo di amici che osserva il mondo con l’entusiasmo di un marxismo appena scoperto. Nel cuore del Sessantotto, il viaggio non può che portare a Parigi, punto di arrivo di un percorso di rovesciamenti, ma anche di maturazione. Ci sono stati l’occupazione del liceo e l’incontro con la politica, quella che porta al conflitto con il preside, ma anche quella dei professori «vicini», come il Caffaz, giovane insegnante trotzkista che assume un ruolo genitoriale alternativo. Poi, c’è stata la rottura di Valle Giulia, vissuta come momento di liberazione.

ALLA MATURITÀ si arriva anche attraverso il dolore. Enrico ha bisogno di fare i conti con il passato di famiglia, che gli ha tenuto nascosto l’esistenza di Maria, la sorella morta all’età di cinque anni dopo essere stata rinchiusa in manicomio. Dolore misto a rabbia, come quella provocata dal suicidio di Franco che, in qualche modo, segna la fine dell’età dell’innocenza. Storie, immagini che si susseguono quasi frenetiche in un romanzo «nel» ’68, che si può leggere anche come una storia «del» Sessantotto.

PER CHI È NATO a qualche decennio di distanza è un racconto che può suscitare riconoscimento in quegli episodi di vita vissuta. Rimane però anche una sensazione amara leggendo di una stagione di cui l’autore restituisce la forza del desiderio, l’ampiezza di un orizzonte di possibilità (individuali e collettive) che oggi sembra precluso. Attorno agli anni Settanta aleggiano nelle nuove generazioni quando disinteresse, quando fascinazione per il mito della ribellione, quando uno strano senso di nostalgia (per un passato altrui), che può assumere anche i tratti del rifiuto o di una nuova accusa di tipo generazionale. Caratteri della complicata memoria del ’68 negli anni Duemila.