Tutti i giorni nel corso del festival «Cinema e donne» di Firenze si potrà assistere dopo la prima al cinema La Compagnia (il 21 alle 17), nella saletta MyMovies, alla replica della «Pacifista» di Miklos Jancso, (1970) nella versione non manipolata dalla distribuzione. La sceneggiatura era di Giovanna Gagliardo, Monica Vitti voleva che il film fosse realizzato da Jancso di cui aveva amato a Cannes L’armata a cavallo: abbiamo raccontato la storia di questa vicenda nel numero di Alias del 5 marzo 2016. La regista, all’epoca uno dei pochi punti di riferimento cinematografico per le femministe, autrice poi di Maternale e di tanti film di montaggio dedicati alle donne, iniziò una lunga collaborazione con il maestro del cinema ungherese da quando gli portò direttamente a Budapest nella cupa epoca della cortina di ferro, la sceneggiatura che aveva scritto. Ora con la stessa spavalderia ci sembra abbia affrontato la sua esplorazione nella Libia del passato e del presente in Il mare della nostra storia (in programma sabato 24 alle 17), un vero tesoro, una profonda immersione nei materiali dell’Istituto Luce, ma anche viaggio inedito in una terra problematica.
Così come non era da tutti andare a convincere il maestro in Ungheria, ora con la stessa spavalderia sei arrivata in Libia
Quelli erano gli anni di Breznev, anni grigi. E non era facile come progetto: il grande maestro, la grande musa di Antonioni che all’epoca non aveva iniziato a fare la commedia, ma solo l’anno dopo avrebbe fatto La ragazza con la pistola.
Ed ora questa zona percorsa da conflitti. Tu hai lavorato molti su materiali di repertorio ma sei anche andata sul posto
Ho lavorato sui materiali di repertorio essenzialmente perché il repertorio del Luce è bellissimo, anzi ho più scartato che montato perché ci sarebbero state da fare dieci ore. E poi c’è questo contrasto con l’oggi. Sono entrata in contatto con l’architetta fotografa Iba Shalabi attraverso il suo sito internet. Lei visita il vecchio ghetto e fotografa i disastri della città vecchia che sta cadendo a pezzi e chiede aiuti all’Unesco e ad altre associazioni per salvare la vecchia Tripoli. Lei mi ha messo in contatto con un bravissimo operatore e via mail le ho scritto le cose che mi sarebbe piaciuto vedere come ad esempio in che stato si trovasse la Villa Volpi. Loro filmavano e mi mandavano i link. Poi ci sono andata io e sono rimasta una settimana sotto la protezione dell’ambasciata italiana a Tripoli dove non ti puoi muovere senza la scorta, senza un permesso (qualunque cosa devi fare ti chiedono un permesso). Ogni trecento metri c’è una pattuglia che ti ferma e può essere chiunque, la polizia, una banda. Ti guardano la macchina, ti chiedono i documenti, ti sfogliano il passaporto, ti chiedono se hai il permesso. Anche per intervistare una persona per strada ti chiedono il permesso del sindaco della zona. Questo per quanto riguarda gli stranieri, poi loro girano tranquillamente. Noi non siamo mai potuto uscire da Tripoli, avrei voluto vedere le vestigia romane. È impressionante questa città che doveva essere meravigliosa come si vede nei filmati e anche nei ricordi delle persone con cui ho parlato, una specie di paradiso terrestre e oggi è sporca, con un mare inquinatissimo, ma soprattutto Gheddafi aveva cominciato a costruire sul lungomare grandi grattacieli e alla sua morte sono rimasti, dal 2011, i cantieri a metà con tutte le impalcature che non si sa cosa ci sia lì dentro.
Anche il famoso lungomare che si è chiamato Volpi per quarant’anni e adesso si chiama Omar Al-Mukhtar è tutto polveroso, non c’è più la balaustra di marmo che aveva fatto costruire il vecchio Volpi, è tutta rotta. L’ambasciata è preoccupata dei sequestri degli stranieri, una donna non velata è riconoscibile anche se c’è molta libertà e se non sei musulmano puoi andare in giro come ti pare, anche se è gradito che tu abbia le braccia coperte. Insomma una città trasandata percorsa da tanta polizia che poi sono bande che mantengono l’ordine, fanno attenzione a non spararsi tra di loro, a non bombardare l’aeroporto, cosa che poi ogni tanto fanno. Come ogni tanto arrivano dei razzi nel giardino dell’ambasciata italiana.
Proprio in questi giorni c’è stato questa conferenza con la Libia
A me sembra una cosa piuttosto propagandistica, il voto a dicembre che sosteneva Macron è un’assurdità in un paese dove non c’è una legge elettorale, né un parlamento. Rincontrarsi a gennaio per fare una legge per promuovere le elezioni è un’altra iniziativa assurda, è qualcosa che dovrebbero fare loro. Una cosa positiva è stato essere riusciti a fare arrivare il generale Haftar che è il vero nemico degli accordi italiani perché lui è legato all’Egitto, mentre al-Sarraj che governa Tripoli è l’unico governo riconosciuto internazionalmente anche dall’Onu, mentre il governo di Bengasi è riconosciuto solo dall’Egitto. Gli italiani pensano che se i due non si accordano non ci sarà mai una pacificazione della Libia. L’unico successo è stato far venire Haftar per un paio d’ore e fare una foto.
Che tipo di materiali hai scartato?
Della parte negativa, Graziani e così via, non c’è niente. Omar Al-Muktar l’ho montato con il film (Il Leone del deserto) e con le testimonianze dello storico Goglia. Nell’archivio di tutta la rivolta della Cirenaica contro gli italiani non c’è una parola. Ci sono invece molti filmati sulle conversioni che loro dicono spontanee: i militari andavano nei paesi più sperduti e quelli si convertivano non si capisce a cosa. Poi c’è un meraviglioso materiale su Balbo governatore: lì ho fatto tante rinunce, è un materiale di una bellezza rara, sembra girato da grandi cineasti, un bianco e nero meravigliso, riprese aeree, elicotteri, camera car. C’è la cattedrale di Bengasi, tra l’altro fatta da un italiano, con centinaia di soldati che avanzano come neanche in Ben Hur. Dell’arrivo dei ventimila coloni ho montato qualche minuto ma ho visionato almeno dieci ore con i coloni distribuiti su centinaia di camion in tante piccola stupende Sabaudia nel deserto, in case complete di tutto (proprio come fece Berlusconi all’Aquila) con Balbo gli fa vedere la cucina arredata. Poi tutta la costruzione della via Balbia, varie migliaia di chilometri dalla Tunisia all’Algeria fatta in un anno e mezzo inaugurata nel ’37 con tutto il viaggio del duce dall’Algeria all’Egitto.
Una parte drammatica è quella riguardante la cancellazione dei luoghi ebraici
Ho inseriti ora nel dvd, molto più materiale. Da quando nasce lo stato di Israele, da Nasser e dal panarabismo tutto si inasprisce, Non c’è solo il pogrom della guerra dei sei giorni, ma anche il ’48, il ’56, la guerra di Suez, e il racconto di come gli ebrei venivano presi di nascosto nottetempo da navi israeliane che li portavano in Israele.
Noi conoscevammo tutti i racconti della Libia da Valentino
Valentino è stato il mio primo incontro sulla Libia, quando avevo appena cominciato il progetto, mi aveva raccontato tante cose fino alla cacciata da parte degli inglesi nel ’71, mi aveva dato contatti, eravamo rimasti d’accordo per registrare l’intervista al suo ritorno da Parigi dove doveva seguire il ballottaggio di Macron, ma al suo ritorno è morto improvvisamente.