Gianfranco Pannone non è uno dei tanti bravi documentaristi italiani che però in genere dal punto di vista del rapporto forma-contenuto lavorano in maniera un po’ scolastica o elaborano progetti a tavolino, insomma non rischiano più di tanto e quindi spesso i loro film non lasciano traccia al di là del valore del soggetto scelto, dell’approccio entusiasta, della nobiltà degli intenti. Pannone, autore napoletano trapiantato a Roma, al contrario cambia sottogenere, argomento, ambientazione accostandosi all’operazione proprio con lo spirito si sperimentare la giusta forma da dare al contenuto. Regista che ha proprio il documentarismo nel dna con qualche rara incursione nella fiction, Pannone ha girato circa una quarantina tra corti, medi e lungometraggi molti dei quali presentati con successi in vari festival non solo italiani (ricordiamo soprattutto la Trilogia dell’America, Latina/Littoria, Il sol dell’avvenire sulle Brigate Rosse, Scorie in libertà, Sul Vulcano). Il suo ultimo film Lascia stare i santi è uno dei risultati più alti dell’armonia contenutistico-formale perseguita da Pannone, un’operazione etnomusicologica che lo ha impegnato con il coautore Ambrogio Sparagna in una lunga ricerca di materiali sonori e visivi (documentari, cinegiornali, materiali di repertorio dell’archivio dell’Istituto Luce), uno di quei preziosi documenti che non possono fare i conti con la frenesia della programmazione cinematografica italiana sempre più schizofrenica e richiedono tempi lunghi di visione e approfondimento. La sua ricerca si è spostata sul piano audiovisivo, del rapporto suono/immagine, e non a caso il documentario è firmato da lui e dall’etnomusicologo Sparagna. E bene ha fatto l’Istituto Luce Cinecittà, che ha distribuito il documentario pochi mesi fa con tutte le difficoltà del caso (ha fatto una fugace apparizione in poche sale italiane), a produrre tempestivamente un pregevole cofanetto uscito il 25 maggio che contiene il dvd, un cd audio con le musiche di Sparagna e un booklet di 20 pagine con interventi critici rigorosi e illuminanti dello scrittore Antonio Pennacchi, degli studiosi Igiaba Scego e Anton Giulio Onofri e degli stessi Pannone e Sparagna e l’elenco dei testi adottati, dei documentari del Luce utilizzati e dei brani CD. Quindi ora Lascia stare i santi, che recentemente ha ricevuto il Premio Enzo Gallo 2017 della Cineteca di Calabria e il 28 maggio ha chiuso il Bellaria Film Festival come evento speciale, può proporsi con tutto il suo peso culturale ai non pochi appassionati dell’argomento del documentario libero dalla sempre più ottusa “logica” dell’esercizio che brucia titoli italiani che meriterebbero ben altra attenzione. Scrive Pannone: “Credo che il nostro patrimonio popolare-orale rappresenti una grande ricchezza in grado di comunicare con la cultura “alta”. Questo film si rivolge alla religione popolare e ai suoi canti sacri (e profani) con uno sguardo aperto, libero da pregiudizi, attento e divertito al tempo stesso; nella convinzione che per capire l’Italia più profonda, bella e contraddittoria al tempo stesso, bisogna sapersi immergere con tatto e intelligenza in certe processioni esuberanti, nelle lunghe liturgie, negli atti devozionali d’ogni sorta; in tante credenze dure a morire; passando al cospetto di santi taumaturghi e madonne protettrici, e finanche del mondo delle streghe, dei filtri, delle magie, degli spiriti, degli angeli e dei demoni”. E Sparagna spiega: “I canti popolari sacri si configurano come un genere specifico di grande diffusione che consente ancora la persistenza di pratiche di antichi strumenti tradizionali come ad esempio i tanti diversi modelli di zampogne, ciaramelle, launeddas, chitarre battenti. Il canto devozionale costituisce un segno connotativo dell’identità di una comunità. Si canta per chiedere l’esaudimento delle proprie speranze ma l’azione rituale si costruisce sempre insieme. Il cantare con gli altri riesce a restituire la dimensione sociale del vivere quotidiano comunitario, anche nei momenti di maggiore difficoltà esistenziale e genera un segno identitario che alleggerisce il peso del vivere. Questo è il grande segreto del canto popolare sacro. Si canta con gli altri, mai da soli perché non c’è salvezza nella solitudine”.

Pennacchi sottolinea che Lascia stare i santi sarebbe piaciuto sicuramente anche a Ernesto De Martino. “Un film sulla devozione religiosa popolare attraverso la musica cantata e ballata. Santi antichi e recenti, madonne bianche e nere, processioni, feste patronali, espressioni di un bisogno di sacro in apparenza lontano da noi, ma che lontano non è. Il prezioso repertorio dell’Archivio Luce asseconda questo viaggio in un’Italia viva e profonda attraverso un percorso emozionale tra passato e presente e con il supporto di illustri testimoni, cui danno voce Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni: da Silone a Pasolini, fino a Gramsci, passando per Rocco Scotellaro, Mario Soldati, Alain Lomax, Vittorio De Seta”.