Il Daghestan è un pezzo di Islam in Europa sconosciuto, una piccola repubblica caucasica che nasconde segreti e tesori per chi è disponibile a fuoriuscire dagli itinerari plastificati del turismo «volo diretto e hotel booking».

Non a caso assai più nota del Daghestan è l’altra repubblica caucasica autonoma della Federazione russa, la confinante Cecenia, a causa delle due sanguinosissime guerre a cavallo tra anni ’90 e nuovo millennio, e più recentemente, per le tristi cronache della persecuzione degli individui lgbt imposta dal presidente in pectore Razman Kadyrov.

La statua di Lenin
L’unico aeroporto del Daghestan si trova nella capitale Machackala, dove ai segni evidenti del passato sovietico (nella gigantesca piazza centrale s’impone ancora una statua di Lenin) fa da contraltare la vista delle tante guglie sgargianti dei minareti. Gli incerti equilibri tra passato e presente trovano una sintesi tardo-capitalista nella teoria di scheletri di immobili abbandonati da tanti anni a se stessi, espressione della difficoltà di trovare un compromesso tra i vari gruppi di potere locali e la scarsità di capitali nella gestione dei piani di speculazione edilizia. «Gli immobiliaristi avevano unto i vecchi governanti per costruire, ma ora che i nuovi amministratori hanno chiesto la loro parte, sono finiti i soldi» ci spiega Mohammad, il taxista che ci porta in città. L’allegro caos mattutino di tanti micro-commercianti in scooter e mamme affannate che trascinano figli, secchielli e salvagenti verso le spiagge cittadine del Caspio ricordano molte città del nostro meridione.

Dalla capitale posta strategicamente al centro della regione è possibile muoversi a nord, verso le straordinarie bellezze naturali dei canyon e delle cascate immerse in lussureggianti campagne colme in estate di ogni più succoso prodotto della natura e a sud verso le pianure che portano a Derbent (la porta del Caspio), la città più antica di tutta la Federazione russa.

Al sud

I primi insediamenti urbani nel sud del Daghestan apparvero proprio a Derbent nella prima età del bronzo, alla fine del IV secolo a.c. Sopra la città moderna, caratterizzata da stretti vicoli e dal grande bazar, si erge la fortezza di Derbent (patrimonio dell’Unesco dal 2003). L’avamposto fece a lungo parte del sistema difensivo che proteggeva i popoli della Transcaucasia e dell’Asia occidentale dalle invasioni di nomadi del nord. Lunga 700 metri fu realizzata in pietra calcarea dell’Alta Sarmazia e venne edificata, nella sua prima versione, nel VI secolo d.c. I turisti che la visitano sono perlopiù locali, soprattutto coppie di novelli sposi alla ricerca della location giusta per le foto di rito, ma nessuna traccia di russi. «Il turismo russo è rarissimo in Daghestan malgrado ci sia il mare» dice il moscovita Serghey, un moscovita che qui organizza ogni anno un incontro di motociclisti della Federazione, una delle poche iniziative che portano qui dei russi in estate. I pregiudizi dei russi sui daghestani sono tanti: accusati di essere ladri e inetti, i migranti che vivono Mosca e San Pietroburgo fanno ricca la madre-patria lavorando duramente come operai stagionali o svolgendo lavori di fortuna.

Islam
Pesa poi la storia recente della regione e molti russi pensano che tizzoni della guerriglia islamica della vicina Cecenia continuino ad ardere anche in Daghestan. Una cattiva pubblicità di cui si fa presto a intenderne l’inconsistenza: dietro un atteggiamento un po’ burbero e montanaro, i daghestani sono gentili e ospitalissimi con chi viene da fuori. L’ Islam è vero affascina la società daghestana: è davvero difficile trovare un bar che proponga la degustazione di alcoolici e il chador è norma ma non di più di quanto lo sia una visita al Cairo e dintorni. «La poligamia esiste?» chiediamo al nostro taxista. «Certo che esiste. Per legge si può avere una sola moglie ma la consuetudine musulmana permette all’uomo di averne fino a quattro» ci conferma Mohammad. Ciò spesso rappresenta un segno di benessere materiale del marito che deve garantire casa e mantenimento degli figli per ognuna delle donne.

Vige una rigida gerarchia tra le mogli e ciò impedirebbe liti nella «famiglia allargata». Il matrimonio d’amore è ancora rarità da queste parti e le famiglie degli sposi stipulano in largo anticipo un accordo dettagliati; spesso gli sposi si conoscono il giorno del matrimonio. L’ascesa demografica (la popolazione dal crollo dell’Urss ad oggi è aumentata di un terzo). Il ruolo di coesione sociale garantito un tempo dal soviet dream è stato sostituito dalle istituzioni islamiche in tutto per tutto. Quando è scoppiato il coronovirus da queste parti, Putin non ha voluto interfacciarsi con il potere locale per organizzare i soccorsi ma con il Mufti Ahmad Afandi Abdulaev, non solo guida spirituale della regione ma anche rispettata autorità civile anche tra la popolazione non musulmana.

«Ciò che è accaduto negli anni ’90 può essere definito un “rinascimento religioso»: in tutto il Daghestan, le comunità musulmane (jama’ats) sono state restaurate, molte moschee sono state costruite e sono state aperte madrasas, istituti e università musulmane. Negli anni Duemila in Daghestan esistevano già di 1091 moschee «cattedrali», 558 moschee ordinarie, 16 università e college islamici, ben 141 madrasa e 324 scuole collegate alle moschee» conferma il professor Michail Roshchin esperto di islam caucasico.

Al nord
Il grande spettacolo naturalistico in Daghestan si trova, come detto, nella parte settentrionale del paese. Da visitare assolutamente è lo straordinario Sulatsky Canyon le cui pendici si trovano a 80 chilometri dalla capitale. Con la sua lunghezza di 53 chilometri e con una profondità di 1920 metri è il più grande canyon europeo, 60 metri più profondo del famoso Grand Canyon in Arizona.

L’attraversamento turistico del canyon è stato legalizzato solo dal 2017 e lo si compie a bordo di jeep sgangherate lungo una mulattiera di 13 chilometri, ben poco rassicurante. La gita costa per 4 persone circa 100 euro, un prezzo accessibile per un europeo, caro da questi parti dove i salari spesso non raggiungono i 200 euro, sotto la media russa. Isamodin, il nostro autista, dimostra non solo di saper guidare dando del tu a crepacci da brivido ma di conoscere assai bene la storia di questa enclave, dove del resto è nato. «Per molti secoli qui, nella regione di Salatavia, la vita sociale era organizzata in forme comunitarie autogestite.

Poi queste montagne divennero oggetto di scontro tra i bianchi e i rossi durante la guerra civile del 1918-1921 e infine il potere bolscevico mise fine nel 1924 a queste esperienze comunitarie, impose il potere statale centralizzato» afferma il nostro conducente-intellettuale. Tra il 1917 e il 1920 nel nord del Caucaso esistette nella zona che va dall’Ossezia fino alla Cecenia una effimera Repubblica delle Montagne del Caucaso Settentrionale di ispirazione islamica, guidata da Sayd Shamil, il nipote di Imam Shamil (vedi scheda), il celebre condottiero del movimento di liberazione islamico-caucasico. Formalmente neutrale nella guerra civile, la Repubblica in realtà si scontrò a lungo con i bianchi guidati di Denikin.

Una mondo e una storia quello dei distretti di Kazbekovsky – come si chiamano ora – su cui possiamo solo fantasticare mentre scendiamo a rotta di collo verso il paesino in cui si può prendere a nolo un motoscafo e scorrazzare nel bacino idrico sprofondato nel canyon. Rientrando vale la pena di fermarsi a rimirare la vista sul grande lago sopra Dubki, una cittadina che ospita le famiglie dei dipendenti della locale centrale elettrica. Incombono edifici popolari sgangherati, qui non sono arrivati neppure i negozi degli operatori telefonici. Ragazzine a capo scoperto ci osservano passare incuriosite mentre tornano a casa con sporte della spesa e anziani pensosi in abito scuro e ciabatte di plastica ai piedi su una panchina che attendono il tramonto sono scorci di una realtà povera e sonnolenta, semi-impermeabile alla contemporaneità.

La regione delle cascate
Sempre nella zona settentrionale del paese, una giornata nella regione delle cascate, è assolutamente indispensabile. Anche qui il paesaggio è verde, a tratti lussureggiante. A ridosso delle strade e nei prati adiacenti bivaccano capre, pecore, cavalli e mucche. Tra i vigneti e le distese di albicocchi, a pochi chilometri l’una dall’altra si possono rimirare tre bellissime cascate. Quella di Tobot è sicuramente la più spettacolare, incorniciata tra verdi pianori, ma sono da vedere anche quelle di Malyy e di Gubinsky. Ecco se amate le discese in cayak questi sono i posti giusti per voi.

Prima di concludere la gita arrampicatevi fino a Gunib, un paesino posizionato a 1200 metri d’altezza e la cui vita si sviluppa essenzialmente nella grande piazza centrale dove ogni giorno viene allestito un colorato mercato di prodotti alimentari e dove convivono tranquillamente l’antica moschea e una statua orientaleggiante di un Lenin tutto d’oro. Qui nacque anche Olga Forsh, autrice sovietica di molti romanzi storici ambientanti nella Russia del movimento rivoluzionario del Secondo Ottocento. «L’Urss aveva assieme ai difetti molto pregi» riflette Mohammad il nostro taxista che ci ha accompagnato anche qui. Lui è lezghino, uno dei 37 popoli che vivono in Daghestan. Ognuno di essi ha una propria lingua. «Le nostre lingue sono molto diverse le une dalle altre e tra di noi non ci capiremmo se nell’era sovietica non fosse stato imposto il russo» ci ricorda. Ma non è il solo motivo di nostalgia per il passato in una regione tra le più povere della Russia: «C’erano molti più diritti in Urss, ma forse un giorno li riavremo» conclude sorridendo mestamente Mohammad.

Appendice: Il personaggio
Imam Shamil (1797-1871), il Garibaldi del Caucaso, è ancor oggi una figura popolarissima in Daghestan. Shamil guidò per un quarto di secolo la resistenza anti-russa e si arrese al generale Alexander Baryatinsky solo nel 1859. Esiliato a Kaluga, città della Russia bianca, morirà presso la Mecca durante un pellegrinaggio benevolmente concessogli dallo Zar.

Shamil, musulmano sufi, ancora oggi viene ricordato nella regione non solo un capo politico e un guerrigliero ma come una guida spirituale: i murales a lui dedicati sono dappertutto e le magliette con il suo volto severo incombono in ogni negozio di souvernirs. La stessa letteratura russa ha celebrato l’impavido avversario nel romanzo di Tolstoj Chadzi-Murat.

Ma il condottiero caucasico fu molto popolare anche nell’Europa nella seconda metà del XIX secolo. Karl Marx e Freidrich Engels nelle loro corrispondenze per il New York Daily Tribune sulla guerra di Crimea fanno spesso cenno al ruolo del movimento di liberazione daghestano. I due rivoluzionari avevano un gran rispetto per l’Imam e valutavano che le sconfitte inflitte ai russi da «Shamil e dai suoi montanari» nel teatro caucasico fossero superiori, per importanza militare ma anche psicologica, a quelle della coalizione euro-ottomana.

In Francia, patria di ogni rivoluzionario e di autodeterminazione, le sue gesta furono narrate, cantate e illustrate per decenni. Nel 1854 per i tipi della Librairie D’Alphonse Taride – all’interno della collana «Les Hommes de la guerre d’Oriente» – viene pubblicata la monografia Schamyl redatta da Edmond Texier. Tra il 1958 e il 1959 Alexandre Dumas soggiornò in Russia circa sei mesi. In quel periodo fece una puntata anche nel Caucaso e fu ospite presso la tenda dell’Imam. Il romanziere francese pubblicò le impressioni del viaggio in trenta fascicoli quotidiani pubblicati a Parigi tra il 16 aprile e il 15 maggio del 1859 (tradotti in una bella edizione da Rubettino nel 2002 con il titolo La guerra santa. Viaggio tra i ribelli ceceni). L’impressione che l’autore dei Tre moschettieri trasse dall’incontro fu enorme: «Allah ha due soli profeti; il primo si chiama Maometto; il secondo Shamil» scrisse entusiasta. Anche Gustave Doré dedicherà al combattente due illustrazioni.

Nell’Italia preunitaria Shamil non ebbe la stessa fortuna e la sua conoscenza restò limitata ai cenacoli risorgimentali che vedevano in lui l’esempio dell’imperitura lotta per la libertà. Tuttavia alcuni libri a lui dedicati vennero tradotti e pubblicati anche nel nostro paese. Come il pamphlet Sciamil e la guerra santa nell’oriente del Caucaso (Libreria Ferrario, 1854), Il profeta del Caucaso (Le Monnier,1855) del Maggiore Werner e Vita e gesta di Sciamil (Tipografia del Lloyd austriaco, 1856) con materiali tradotti dalla Gazzetta Militare di Vienna. Giorgio Corradini, pittore e scultore di cui si sa veramente poco, negli anni Quaranta del XIX secolo si trasferì a vivere a Tblisi dove insegnò disegno al ginnasio maschile della capitale georgiana. Nel 1854 con l’inizio della guerra di Crimea si arruolò nei reparti alpini dell’esercito daghestano e poi fece parte, prima di rientrare in Italia, anche della cavalleria armena. Di quel suo periodo avventuroso sono giunti fino a noi, purtroppo solo in litografia, dei disegni bianco e nero dell’Imam e dei suoi compagni di lotta.