Finora ho fatto politica con i miei libri, occupandomi di Shoah, razzismo, resistenza ai regimi. Nel mio primo incontro elettorale, mi sono trovata a parlare della tassonomia di Linneo e della costruzione che è all’origine di quella “gerarchia del disprezzo” che costituisce una radice profonda della nostra cultura. Mi sono interrotta per scusarmi: di certo non era il linguaggio della politica che ci è consueto, ma mi è stato chiesto di continuare. È iniziata una meravigliosa discussione, forse eccentrica in una campagna elettorale; tutti ne eravamo un po’ stupiti, ma abbiamo parlato delle categorie che separano l’umano dall’animale, della nascita dello schiavismo, dell’attribuzione alla natura della dicotomia tra uomo e donna. Perché le persone (noi) abbiamo desiderio di scambiarci e riflettere, conoscere, studiare, anche fuori dai luoghi normati, istituzionalizzati, nella consapevolezza del deserto che ci circonda. Mario Lodi, appena uscito di prigione, il 25 aprile 1945, decise che era necessario cominciare a ricostruire una cultura distrutta dal ventennio fascista; lo fece proprio partendo dal desiderio di scambio, di racconto di sé, di conoscenza critica impedita dal regime. Il suo insegnamento passava essenzialmente per il racconto degli uni agli altri, e dalla conoscenza, non sociologica ma umana, della realtà circostante.

Questa splendida e quasi clandestina campagna elettorale è stata – per la parte che ne ho potuto vedere – una grande scuola, prima di tutto per me. Girando per le città, ho incontrato una vita partecipativa sotterranea, non rappresentata dai media eppure capace di costituire un reticolo di scambi, speranze, lotte, invenzioni, pratiche di solidarietà. Dai progetti di microcredito alle cooperative per l’inserimento lavorativo dei carcerati; dalle esperienze di social street ai Gruppi di Acquisto Solidale; dalle cooperative di donne immigrate ai collettivi di studio sull’energia alternativa e la lotta al nucleare. Progetti, intelligenze, competenze che modificano le realtà del territorio. Ma questa campagna elettorale si è svolta in gran parte anche sul web, in un continuo scambio di informazioni e contatti. Giorno dopo giorno, i candidati si sono visti inoltrare decine di richieste di adesione a piattaforme, impegni, punti programmatici sui quali verranno giudicati e scelti. Dall’Agenda per i diritti umani in Europa, a sostegno di politiche di tutela dei migranti, dei rom e dei detenuti – promossa da Lunaria, Associazione 21 luglio e Antigone – alla campagna di Ilga per i diritti di gay e lesbiche; dal programma per i Diritti Digitali per l’autodeterminazione dell’informazione e la tutela della privacy, a quello per i diritti dei migranti proposto dalla Rete Primo Marzo; dalla campagna di Libera contro le mafie, Miseria ladra, che mette al centro la lotta alla povertà, a NewDeal4Europe, iniziativa europea di cittadinanza per un piano straordinario di sviluppo sostenibile e per l’occupazione; dai punti programmatici delle associazioni animaliste a Riparte il futuro, la campagna trasversale e apartitica contro corruzione e criminalità organizzata.

Una sorta di “mente estesa” formata dalle numerosissime associazioni che da anni si occupano di temi fondamentali per l’agenda politica europea, fuori dalle appartenenze partitiche. Una forza programmatica e progettuale, un reticolo di competenze ed esperienze alle quali chiunque verrà eletto al Parlamento europeo potrà appoggiarsi, e al tempo stesso dovrà render conto.

Così ho deciso che la mia campagna non sarebbe stata costituita solo da comizi, banchetti, volantinaggi, interventi e iniziative elettorali nella circoscrizione, ma che avrei organizzato tre convegni per riflettere su argomenti per me centrali, chiedendo a persone con le quali ho spesso condiviso percorsi di studio e di lavoro di darmi una mano. È nato così un convegno su «Lavoro, precarietà e nuovo schiavismo», che ha avuto tra i relatori Gianni Rinaldini, Mario Agostinelli e Guido Viale. Un convegno su «Razzismo e xenofobia», al quale hanno preso parte, tra gli altri, il genetista Guido Barbujani, la scrittrice Igiaba Scego, lo storico del porrajmos Luca Bravi, il portavoce della comunità senegalese di Firenze Pape Diaw. E infine un convegno sulla comunità del vivente come fondamento della politica, al quale hanno preso parte, oltre ai responsabili di alcune tra le più importanti associazioni animaliste e antispeciste, il filosofo Leonardo Caffo e lo scrittore Milton Fernandez, che ha spiegato, ad esempio, come il presidente ex tupamaro dell’Uruguay, Pepe Mujica, abbia appena promosso una legge per la tutela dei diritti animali, compreso quello alla dignità.
Tutte queste voci, intelligenze, progettualità – che andranno a formare un archivio mediatico che resterà oltre il 25 maggio, per riannodare i fili degli argomenti che l’orizzonte europeo ci ha spinto a considerare nella loro ampiezza politica – sono una «folla dentro il cuore» che, come nei versi di Emily Dickinson, «nessuna polizia potrà disperdere».

Naturalmente non tutto è stato radioso in questa difficile costruzione di un soggetto unitario: inevitabilmente sono entrate in gioco logiche di appartenenza, ripetizioni del già visto, rendite di potere, malcelate ambizioni personali – una politica che assomiglia ai carrarmatini del Risiko, nel suo insediarsi su piccolissimi territori vedendo il vicino come un nemico o un pericolo.
Forse il viaggio vero è stato l’aver avuto l’opportunità di partecipare fin dalla nascita a un progetto che vuole uscire dalle secche di ragionamenti che hanno portato a troppi anni di sconfitte, divisioni, incapacità del frammentato mondo post-sessantottesco di smettere di credersi il centro del mondo; «di andare oltre il bricolage organizzativo e il balbettio ideologico», come scrive Marco Revelli in Oltre il Novecento, «alla ricerca delle parole, o delle formule, con cui nominare la propria rivoluzione introvabile».

Per la prima volta dopo tanti anni è nato un progetto che può essere vincente, anche oltre l’appuntamento delle elezioni europee, a patto che sappia superare le logiche dell’appartenenza e aprirsi alle pluralità che ha messo in campo.