L’oscurità di un cielo stellato è da sempre mappa geografica di poeti, navigatori, eroi che abbandonano le certezze del giorno per seguire avventure e sentimenti, a volte combattimenti con le terribili forze dell’altro mondo, incorporea proiezione del lato oscuro.
Eppure l’Italia, risaputamente terra di eroi, poeti e navigatori, ha paura del buio. Più dei francesi, dei tedeschi e soprattutto degli abitanti del Regno Unito, che sborsano per l’illuminazione pubblica, rispettivamente, la metà, meno della metà e quasi un quarto di quanto spendiamo noi. Certo è che le strade italiane sono sempre più illuminate, e sempre peggio: meravigliose città, fari di una cultura che si è irraggiata nel mondo, al tramonto diventano lattiginose metropoli texane folgorate e afflitte dai nuovi lampioni a led, considerati più performanti. Parliamo di città come Roma o Verona, dove Romeo non potrebbe mai più dire della sua amata che «Par che sul buio volto della notte ella brilli come una gemma rara pendente dall’orecchio d’una Etiope» (atto I, scena V).

A ILLUMINARE quali dinamiche siano in ombra dietro questa sorta di maledizione di Edison, è ora un libro di Irene Borgna, edito da Ponte alle Grazie: Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte (pp. 204, euro 15). Un affascinante volume di scienza e di viaggio che racconta di come l’autrice (insieme al compagno Emanuele e al cane Kira) sia andata dietro al buio su strade poco battute, tra l’Italia e i Paesi Bassi, per far luce sui danni all’uomo, agli animali e all’ambiente che le nostre notti di eterno plenilunio inevitabilmente arrecano.
Il problema dei cieli non più neri non è nell’ingenua questione di non poter più ammirare la Via Lattea – che pure, da sola potrebbe bastare – ma nel fatto che la scomparsa del buio rischia di sminuire o porre fine all’universale opposizione tra giorno e notte che, al di là di ogni strutturalismo levi-straussiano, regola il nostro organismo e la nostra vita sociale, dalla religione all’attività lavorativa, oltre quella dei nostri compagni non umani.
Siamo esseri costruiti in milioni di anni dall’alternanza di buio e luce. I nostri stessi concetti di maschio/femmina, bene/male, divino/demoniaco, spirito/materia si sono lentamente plasmati con e su questa invadente e universale alternanza, che dentro di noi, biologicamente, agisce come sincronizzatore di un orologio interno, con ritmi circadiani: attraverso l’occhio le cellule preposte a questo cronometro ipotalamico decidono se e quando è l’ora di produrre melatonina per favorire il sonno.

SEMPRE PIÙ STUDI confermano che dopo il tramonto le luci – soprattutto quelle con tonalità bianco-blu – ritardino il sonno e il rilascio della melatonina. Sempre più spesso – è Irene Borgna a spiegarcelo – sono le luci a led, anche quelle dei monitor degli smartphone, a impedirci di dormire. Questi scombussolamenti non valgono solo per gli umani. Anche senza smartphone, ci sono piante che si rifiutano di fiorire se troppo illuminate e con primavere anticipate da giornate senza notte; pipistrelli che si svegliano tardi perché non riconoscono più quello che un tempo fu il loro regno; uccelli che cantano in piena notte ingannati da una falsa alba sottile ed eterna.
Cieli neri non è solo un affascinante, scientifico e romantico viaggio al termine della notte, ma anche un manifesto di impegno civico verso un minimo sindacale di 3000 stelle da poter vedere senza inquinamento, senza danni per gli uomini, gli animali e anche per quelle scienze che hanno bisogno del buio per comprendere l’universo. Un impegno che può divenire azione quando Borgna suggerisce, nella «buiografia» di consultare le normative regionali di riferimento per eventualmente «riconquistare la notte intorno a te, insieme ai cittadini del tuo Comune».