Nel dicembre di due anni fa, la notizia della morte di Fidel Castro. Si tornava in quella occasione a fare i conti per l’ennesima volta con Cuba, quella reale e quella che abita nel nostro immaginario. Colpiva la folla che da L’Avana a Santiago si assiepava lungo le strade per salutare in un’ultima volta il personaggio che aveva segnato la storia dell’isola negli ultimi sessant’anni. Lo slogan che passava di bocca in bocca era «Yo soy Fidel» (Io sono Fidel), un modo per testimoniare la propria appartenenza a una storia complicata, fatta di alti e bassi, di pagine gloriose e altre grigie.

ORA «YO SOY FIDEL» è diventato anche un libro formato gigante, fatto di foto e di testi, bello da leggere e da vedere oltre che da conservare (Cantagalli, pp. 146, euro 34). L’occasione editoriale si è concretizzata grazie alle foto di grande impatto in bianco e nero di Francesco Comello, presente due anni fa a Cuba, e ai testi di Barbara Tutino (figlia di Saverio Tutino, mitico corrispondente de l’Unità negli anni Sessanta e prima ancora giovane comandante partigiano in Val d’Aosta) che ha aperto i cassetti di famiglia e della memoria mettendo a disposizione dei lettori alcune lettere del padre.

C’È ANCHE UN TESTO di Norberto Fuentes, scrittore cubano che vive negli Stati uniti ed è stato amico di Saverio (ne ricostruisce personalità e problemi della sua permanenza a L’Avana). Insomma, un mix di ingredienti che si amalgamano bene.
Barbara Tutino ci racconta il suo irrisolto rapporto con Cuba: l’infanzia vissuta con il padre lontano che le raccontava di sogni rivoluzionari per una società più umana e giusta, il primo incontro con l’isola quando aveva diciotto anni, il secondo più consapevole vent’anni dopo. Nel primo, Barbara è felice di conoscere finalmente gli amici del papà, oltre alla vegetazione, alle spiagge e ai volti che fanno da contorno. Nel secondo viaggio, le pare di intravedere l’incrinarsi tra la gente delle passate sicurezze: la realtà è diventata più complessa, bisogna smettere i panni dell’entusiasmo e capire meglio.

SAVERIO TUTINO (Milano 1923, Roma 2011) è stato il «cubanologo» italiano per eccellenza. Questa etichetta gli si è incollata addosso, malgrado i suoi ripensamenti sulle virtù politiche di Cuba. Per decenni, chi scriveva su Cuba non poteva che consultarsi con Saverio o leggere i suoi libri (in particolare Ottobre cubano, Gli anni di Cuba, Diario cubano 1964-1968) che raccontavano la sua esperienza dal 1962 a metà dei settanta. Lui aveva conosciuto da vicino Fidel e Che Guevara, aveva vissuto le dure giornate del 1962 della «crisi dei missili» che portarono a sfiorare la collisione armata tra l’isola e gli Stati uniti, aveva rotto con il suo Partito comunista per difendere le scelte cubane in quel decennio e poi si sarebbe allontanato via via politicamente da L’Avana che andava istituzionalizzando la propria rivoluzione e accettava le regole della realpolitik.

COMUNISTA molto suis generis Tutino: un comunista libero, irregolare, non dogmatico, disposto a mettersi in gioco, aperto alle novità, senza appartenenze a gruppi e correnti (amico e critico di noi del manifesto), cronista con inesauribile voglia di raccontare che portò successivamente nella sua esperienza a Repubblica di cui fu tra i fondatori.
La vena di «cronista» di Tutino emerge pure nelle lettere inviate alla figlia Barbara e qui pubblicate. La descrizione della zafra (la raccolta della canna da zucchero) è narrata con dettagli, così come l’iniziazione alla pesca – perfino subacquea – fatta con gli amici cubani e qualche incontro con squali nei sottofondi dei Caraibi.

DIVENTERÀ PESCATORE provetto. In una lettera cerca di spiegare con molti argomenti perché il mandante dell’uccisione di John Fitzgerald Kennedy non va cercato a L’Avana. Saverio si dimostra curioso e sempre attento a ciò che lo circonda.
Ma Tutino non è stato legato solo alla esperienza cubana (l’etichetta di «cubanologo» non gli rende interamente merito). Nel 1985 ha fondato l’Archivio diaristico nazionale a Pieve Santo Stefano, famoso per le rassegne annuali e aver dato la dignità che merita a un genere letterario che era dimenticato. Tutino ha scritto i propri diari per tutta la vita in un permanente confronto con se stesso.