Recita un proverbio portoghese ‘Em abril águas mil’, ad aprile, acqua a mille. E questo viaggio di aprile non smentisce la metereologia popolare. La pioggia, a Lisbona, confonde la superficie lastricata del Terreiro do Paço con quella liquida del Tago. La pioggia combatte con il sole a Peniche, nel Centro della terra lusitana. La pioggia minaccia, ma senza veri risultati, il cielo dell’Alto Alentejo. Forse pioveva anche quel mattino di aprile del 1934, quando le saracinesche della libreria ed editrice Parceria A.M. Pereira, rua Agusta 44/54, Lisbona, si alzarono. Forse pioveva, il 25 aprile 1974, a Lisbona e sul carcere politico di Peniche. Forse, lo stesso giorno dello stesso anno, la pioggia minacciava, ma senza veri risultati, il cielo dell’Alto Alentejo. Una cosa è certa, però. La pioggia non può cancellare il ricordo. Che si fa ancora più forte quando coincide con i decenni di un secolo. Succede, nel 2014, in Portogallo. Ottant’anni fa, Fernando Pessoa consegnava alla Parceria A.M. Pereira il poema Mensagem, unica sua opera in portoghese pubblicata non postuma.

Quarant’anni fa, alle 0,20 del 25 aprile iniziava la Rivoluzione dei Garofani. Il programma ‘Limite’, sull’emittente cattolica Radio Renascença, mandava in onda Grândola vila morena “Grândola, città dei Mori/ terra di fratellanza/ è il popolo che più comanda/ dentro di te, o città”. Il brano di José Afonso era stato proibito per la dedica alla Sociedade Musical Fraternidade Operária Grandolense, e conseguente sospetto di comunismo. Grândola era il segnale. Cominciava il golpe democratico dello MFA (Movimento das Forças Armadas) contro il governo di Marcelo Cateano, al potere dopo la morte di Salazar nel 1970. Questione di poche ore, e le celle dei detenuti politici nella fortezza carcere di Peniche si aprirono, restituendo la libertà a centinaia di uomini. La notizia del ritorno alla democrazia arrivò anche nei campi dell’Alentejo dimenticato e poverissimo. Lì, un anno dopo, nasceranno le lotte per la Riforma Agraria.

La pioggia, si diceva, non può cancellare il ricordo. Non riesce a farlo neppure la situazione economica di un Paese dove l’IVA sul commercio è al 23%, i negozi chiudono, le voci in strada ironizzano “La notizia del giorno, ogni giorno, è un aumento delle tasse”, i salari minimi sono minimi davvero, la disoccupazione giovanile si aggira intorno al 27%, la fuga verso le ex colonie (Angola, Brasile, Mozambico) per cercare un lavoro a condizioni decisamente più vantaggiose somiglia a un esodo. Lo spiraglio aperto due settimane fa dall’agenzia di rating Finch, che ha alzato il giudizio sul Portogallo da negativo a positivo, non è ancora abbastanza largo da suscitare ottimismo. Ma, ed è la cosa che più colpisce, a Lisbona e lontano da Lisbona ci si lamenta senza piangere troppo; a Lisbona e lontano da Lisbona sembrano aleggiare la speranza e la ricerca di una via d’uscita. Non nascono dalle decisioni dei palazzi del governo. Ma dalle idee e dalle iniziative della gente. Quella della capitale, delle città del Centro, dell’Alto Alentejo. Gente che incontri mettendoti in cammino per costruire, grazie alle memorie della Rivoluzione, al rifiuto ribelle di un uomo per gli schemi, ai racconti della nuova Resistenza, un inaspettato detour.

Nel 2000, la regista Maria de Medeiros realizzò il film Capitaes de abril, Capitani di aprile, che ricostruiva i giorni dei garofani a Lisbona. Protagonista, nel ruolo del capitano Salgueiro Maia, Stefano Accorsi. Una delle scene madre si svolge in rua do Arsenal, tra il Terreiro e la piazza del Municipio. Sono le 9 e 35 del 25 aprile. Alcuni carri armati, al comando del brigadiere Junqueira dos Reis, fronteggiano i militari ribelli. Un centinaio di metri separa i due schieramenti. Dos Reis ordina di sparare a Maia, venuto a trattare la resa. Ma i soldati, ufficiali in testa, si rifiutano e passano dall’altra parte.

Oggi, nello stesso tratto, in un edificio di pregio, si svolge ad aprile Peixe em Lisboa. Il patio accoglie tavoli apparecchiati e illuminati da abatjour, cui ci si accomoda dopo aver scelto antipasti, primi, secondi e un calice di vino tra i menu dei migliori ristoranti ittici della capitale: 5 e 8 euro per mangiare, un euro e 50 per un bicchiere di vino. Gli spazi della galleria ospitano i produttori artigianali in tema di pesce, pasticceria, enologia. La gente risponde al richiamo, così come affolla ogni sera uno spazio industriale recuperato, la LX Factory, Rua Rodrigues de Faria 103, Alcantara. Sotto le ciminiere e dentro i fabbricati in mattone di un’area di 23mila metri quadri che fu sede, a partire dal 1846, della Companhia de Fiação e Tecidos Lisbonense, della Companhia Industrial de Portugal e Colónias, della tipografia Anuário Comercial de Portugal e Gráfica Mirandela, sono nati laboratori di design e attività creative, librerie, ristoranti, bar e caffè.

Un fitto calendario di eventi ha fatto della LX Factory un polo culturale con pochi rivali in Europa. Lo scorso anno, sotto i portici del Terreiro do Paço, ha aperto i battenti il Lisboa Story, percorso multimediale nella storia della città, dalle origini a oggi. Un’ora di visita con audioguida per scoprire leggende e storie della capitale. Il turista, insieme ai residenti, scolaresche in testa, si mette in fila per entrare. Nessuna fila, invece, davanti ai luoghi che hanno visto attorcigliarsi in tanti nodi la vita breve di Fernando Pessoa. Nessuna fila davanti agli edifici dove era nato, aveva lavorato, bevuto fino a condannarsi a morte.

Molti di questi luoghi e di questi edifici sono spariti. Al loro posto, negozi di abbigliamento, profumerie, studi legali. Quel che è rimasto non ha niente di spettacolare. A volte è un portone con un numero slavato, altre una semplice fila di finestre al primo o al secondo piano. Migliaia di pessoas, persone, passeggiano per rua do Comercio, rua Victoria, rua Augusta, rua da Prata, ignorando che proprio lì Fernando ha vissuto, sofferto, pensato, scritto. Mensagem, 44 poesie, è diviso in tre parti: la nascita, lo splendore, la decadenza e la resurrezione del Portogallo. Zeppo di riferimenti esoterici, attraversato da accenti acuti di nazionalismo e da scure malinconie, il poema esprime versi magnifici, specie nella seconda parte. Recita Mar Portuguez “O mare salato/ quanto del tuo sale/ sono lacrime del Portogallo/Perché ti solcassimo/ quante madri han pianto/ quanti figli invano hanno pregato/ quante spose non hanno sposato/ perché tu fossi nostro, oh mare”.

Ci vogliono buone gambe e occhi attenti per incontrare Pessoa. La casa dove nacque, il 13 giugno 1888, è in Largo do São Carlos 44, davanti al teatro che il padre, funzionario del Ministero della Giustizia, frequentava nelle vesti di critico musicale per il Diario de Noticias. Sotto un lampione dell’edificio, una targa a ricordo. Si sale verso il Chiado, ignorando A Brasileira, uno dei caffè frequentati da Fernando. La sua statua, fra i tavolini, richiama frotte di turisti e i prezzi sono lievitati. Dopo la morte del marito, nel luglio 1893, la madre, Maria Magdalena, trasloca in rua de São Marcal 104. Le seconde nozze con João Miguel Rosa, console portoghese a Durban, portano al trasferimento della famiglia in Sud Africa. Pessoa tornerà a Lisbona nel 1905.

Dopo un paio di anni tra Rua de São Bento 19, in casa della zia Anica, e Calçada da Estrela 100, dalla zia Maria Clara, l’elenco degli appartamenti e delle stanze in affitto diventerà lunghissimo. Con il rientro nella capitale della madre e dei fratelli, rua Coelho da Rocha 16 sarà l’ultimo indirizzo. Dal 1920 fino alla morte, Fernando vivrà lì, al primo piano di un palazzo oggi museo a lui intitolato. La facciata di Casa Pessoa è ricoperta di scritte che riproducono versi, brani, aforismi, tratti dalle opere del poeta. Il 29 di novembre 1935, dentro un letto dell’ospedale di São Luís dos Franceses, in rua Luz Soriano 182, rantola un uomo distrutto dall’alcol. Il giorno dopo, quel rantolo si spegnerà.

Le spoglie di Fernando riposeranno nel Cemitério dos Prazeres, in rua Direita 4371, per mezzo secolo, prima di venir trasferite al Monastero dos Jerónimos. Esili sono i fili della memoria del poeta che lavorava come traduttore per imprese di import export: la Lda Palmares, Almeida & Silva, dove scrisse, usando l’eteronimo di Bernardo Soares, alcuni brani del Livro do Desassossego (Il libro dell’inquietudine), in rua dos Fanqueiros 44, primo piano; la Casa Serras Importação, rua Augusta 228. Alla Félix, Valladas & Freitas, rua da Assunção 42, secondo piano, dove conobbe nel 1919 Ophelia Queiroz, unica donna della sua vita. Ebbe anche un ufficio personale, soltanto per scrivere. Le finestre, al primo piano, sono quelle del 52 di rua São Julião. Il Pessoa del vino e dell’assenzio aleggia tra i saloni d’epoca di Martinho da Arcada, un tempo Cafè da Arcada, al 3 del Terreiro do Paço. Le foto del cliente abituale che entrava cappello in testa e soprabito, occupano le pareti insieme a dediche, fogli scritti, dipinti. Martinho è oggi un ristorante tanto bello quanto costoso. Gli altri caffè sono spariti sotto i colpi di rifacimenti e distruzioni edilizie. Si chiamavano Royal, Gibraltar, Montahna. Stesso copione per i ristoranti, con l’eccezione dell’Antica Casa Pessoa. Un tavolo, per chi portava lo stesso nome del locale ma non aveva un soldo in tasca, c’era sempre. L’Antica Casa, in rua dos Douradores 190, è rimasta più o meno la stessa: azulejos alle pareti, tavoli semplici, camerieri dal passo pesante, porzioni ciclopiche, conto di altri tempi.

La nuova Resistenza e la Rivoluzione hanno ulteriori riferimenti geografici sulla mappa del Portogallo centrale. Due i nomi, Obidos e Peniche, in mezzo ai quali ci sono tappe meravigliose. Basterà citare i monasteri di Batalha e Alcobaça, patrimonio Unesco. Il primo, domenicano e gotico, vide la nascita dell’architettura manuelina; il secondo, cistercense e medievale, fu colossale ex voto di Afonso Henriques, sovrano portoghese numero uno. Qui la storia antica di guerre, di astute alleanze tra potere temporale e spirituale, di re e regine che volevano imprimere il segno del loro passaggio terreno, ha lasciato opere d’arte, chiostri di marmo e pietra, portali scolpiti con statue e simboli, pantheon celebrativi e pantheon incompiuti come quello di Batalha. Le sue arcate hanno il cielo per soffitto.

E non va dimenticato Nazaré, paese di pescatori con le case che, dalla profonda spiaggia di fronte all’Oceano, paradiso dei surfer di tutto il mondo, salgono arrampicandosi sulle colline e danno spettacolo in cima al mirador, il punto panoramico. Il Nazaré Canyon, lungo 200 chilometri, inabissa le sue acque a cinquemila metri di profondità. José Pinho è comproprietario di una delle più belle librerie di Lisbona, Ler Devagar, in una ex tipografia della LX Factory. Deve essere stato questo suo amore per i libri collocati ‘fuori luogo’ a fargli accettare la strana sfida lanciatagli dal sindaco di Òbidos. Era il 2011. Pinho scopre, grazie a un’amica e collega, che Òbidos vuol fare, della chiesa barocca e sconsacrata di São Tiago, una libreria. Va sul posto, visita la chiesa in restauro, però l’idea non gli sembra interessante. Ma il baco della carta stampata lavora nella testa di Josè. E lui ci ripensa.

A patto di creare un progetto che trasformi la piccola e intatta città murata in una Vila Literária. Librerie, ma anche festival e rassegne capaci di richiamare tutto il Portogallo. Sotto la pioggia di aprile 2014 segui il libraio ‘matto’ mentre ti accompagna a visitare scaffali zeppi di volumi, che dividono gli spazi con cassette di verdura e frutta, barattoli di specialità artigianali, bottiglie di olio. Qui c’era un mercato biologico. La galleria novaOgiva accosta opere dipinte a opere scritte, il Museo Abilio propone editoria d’arte, la Galeria do Pelourinho sarà dedicata a Fernando Pessoa. Nel 2016 circoleranno a Òbidos circa duecentomila volumi in undici, anomale, librerie. Ride, José «Duecentomila libri per ottanta cittadini!».

Tanti, infatti, sono coloro che risiedono nella parte storica del paese. Gli altri vivono fuori, accanto ai vigneti. Scherza, José, e lo sa. La sua idea sta dando frutti eccellenti. Il turismo cresce, rassegne e festival attirano pubblico non solo portoghese. L’ultimo appuntamento, dopo un bicchiere di ginjinha, il liquore nazionale di ciliegie, è São Tiago. Sugli altari e sotto i pulpiti, lungo le scalinate e nelle nicchie, si pratica il culto del libro in ogni sua forma e dimensione. Il frusciare delle pagine somiglia a una preghiera laica, recitata sottovoce. Pausa di cielo azzurro a Peniche. La nuova Resistenza ha un suo convinto discepolo nel sindaco Antonio José Correia, biglietto da visita due scatole delle prelibate sardine della zona, che mette sul tavolo delle riunioni del Centro de Alto Rendimento de Surf prima di iniziare a spiegare il Projeto Surge (Simple Underwater Renewable Generation of Electricity), finanziato dall’Unione Europea.

La Riserva Naturale di Peniche è un ecosistema prezioso. Il mare ‘produce’ le supertubos, onde perfette per fare surf. Il Centro ospita campioni e appassionati di questa pratica sportiva, ed è il quartier generale del Projeto Surge, cui sta lavorando, dal 2009, un gruppo di esperti di dieci Paesi dell’Unione. Il tramite tecnologico si chiama Waveroller, una placca che viene depositata a una profondità di 15/20 metri e assorbe, trasformandolo in energia elettrica, il moto ondoso. Il Waveroller non inquina, non ha impatti sulla flora e la fauna acquatica, le sue piccole dimensioni consentono di impiegare un gran numero di placche. Quanta forza è in grado di esprimere il mare di Peniche? La città è entrata nel Guinness per l’onda più alta del mondo: 23 metri. La seicentesca fortezza carcere è uno di quei luoghi che, a raccontarne la storia ai tempi di Salazar, si rischia di scivolare nella retorica dettata dalla commozione. Due i suoi colori. Il giallo distingue le strutture originali da quelle, bianche, aggiunte per renderla prigione.

Tra il 1934 e il 1974, il Forte divenne l’inferno in cui sprofondare chi si opponeva alla dittatura: intellettuali, operai, contadini, studenti, impiegati, politici. Il numero totale ammonta a poco meno di 2500, ma è destinato a salire man mano che si rintracciano altri nomi grazie a familiari ed amici. La visita delle strutture evoca una dimensione di regole persecutorie, di maltrattamenti fisici come il cibo ignobile e psicologici nell’osteggiare le visite dei parenti, che poi, lo si legge in tanti verbali, venivano pedinati all’uscita. Tutto questo lo racconta il museo, allestito con efficace semplicità: pannelli fotografici, documenti, oggetti e libri dei detenuti. Tra di loro ci fu chi riuscì ad evadere. La fuga più famosa porta la data del 3 gennaio 1960. Nove prigionieri, tra i quali Alvaro Cunhal, figura di spicco del Partito Comunista, aiutati da una guardia, si calarono con una fune dalla sezione di massima sicurezza al livello inferiore delle mura. Poi, sempre grazie a una fune, riuscirono a scendere fino alla piazza sottostante. Ad attenderli, due auto. L’evasione fu un clamoroso smacco per il regime. Di fronte all’ingresso del museo, una foto di Amalia Rodriguez e i versi di Abandono, fado Peniche. Cantava Amalia “Per il tuo libero pensiero/ sei stato a lungo prigioniero/ Così a lungo che il mio lamento/non riusciva a raggiungerti”. La censura la mise a tacere.

Un’ora e mezza di autostrada porta a Estremoz. Da lì, Vila Viçosa, Monsaraz, Moura, Mertola, Beja, Alvito, Evora, diventano un viaggio ‘ad anello’ attraverso il silenzio e la solitudine delle provinciali. L’Alto Alentejo ricorda la Toscana. Anche qui ci sono vigne e colline, verde vivo di primavera, campi. Ma l’accostamento tra le due regioni viene da farlo notando l’attenzione dell’uomo verso la natura. Tra un paese e l’altro niente capannoni, discariche a bordo strada, caseggiati senza riguardo. Verde così, l’Alto Alentejo lo è diventato dal 2002. Prima era siccità tremenda; Portogallo mangiato dal sole, avaro nel dare all’uomo di che sopravvivere, concedendolo solo in cambio di enormi fatiche.

Era povertà, dominio dei latifondi, rabbia impotente. La volontà di riscatto si concretizzò nelle lotte per la Riforma Agraria seguite alla Rivoluzione del ’74; la rinascita della terra comincia nel 2002, con la chiusura della diga di Alqueva e la creazione del Grande Lago artificiale, 250 chilometri quadrati. Non poche sono state le voci del dissenso contro la sparizione sott’acqua dell’abitato di Aldeia da Luz e di un castello romano, il taglio di un milione di alberi, gli enormi costi resi ancor più pesanti dalla creazione di trecento isole. Almeno per ora e per quello che si vede in questo viaggio d’aprile, il temuto eccesso di turismo nella zona sembra non dare segnali troppo preoccupanti. Numerose e discrete le indicazioni di strutture di turismo rural, garbati i negozi di souvenir nei posti di maggior richiamo, senza compromessi i laboratori storici di artigianato, cortesi ma non ruffiani i camerieri dei ristoranti e dei bar.

Ad ogni cartello d’ingresso, l’Alto Alentejo alza il sipario su paesi di poche migliaia di abitanti, mescolando le carte della preistoria, dell’impero romano, della civiltà araba, del cristianesimo prima e dopo la Reconquista. E quando le mette sul tavolo, lo straniero rimane incantato dalle rovine della villa patrizia di São Cucufate, primo secolo dopo Cristo; dagli innumerevoli castelli, distanti non più di quaranta chilometri tra di loro perché questa era il massimo percorribile da un cavallo in un giorno; dalla cattedrale e dalle case di Mertola, che al loro interno mostrano tracce evidenti delle architetture moresche; dalle grandi piazze centrali, sovente battezzate ‘da Republica’, chiuse in un recinto barocco, liberty, rinascimentale, al centro o in un angolo lo chafariz, la fontana; dal placido flanare per vie e vicoli pavimentati a ciottoli, incontrando le pareti di azulejos affacciate sulle strade o nascoste nelle stanze di chiese e dimore nobiliari.

Camminare senza fretta vuol dire scoprire ad Alvito la sede del Grupo Coral de Cantares Alentejanos, che nel disordine degli arredi esibisce piatti appesi ai muri, dipinti con scene di vita quotidiana e di feste. Oppure ritrovare Rivoluzione e nuova Resistenza a Beja, nel Museo Jorge Vieira guidato da Noémia Cruz, seconda moglie dello scultore. Nato a Lisbona, ma legato all’Alentejo dove visse dal 1982 al 1998, anno della sua morte. Vieira, pioniere dell’astrattismo e del surrealismo, fu emarginato dalla dittatura sia sotto il profilo artistico che dell’insegnamento. Forse era bastato, per decidere, il Monumento al prigioniero politico ignoto, premiato al Concorso Internazionale londinese di scultura nel 1953. La sua versione definitiva annuncia dal 1994 l’ingresso alla cittadina. La pioggia non può cancellare il ricordo, e nemmeno la speranza. Adesso, dopo questo viaggio portoghese di aprile, anche chi è straniero lo sa.

I SITI

Per muoversi tra Lisbona, centro del Portogallo e Alentejo, utilissimi i siti internet visitportugal.com, visitlisba.com, visitcentrodeportugal.com.pt, visitalentejo.pt. Oltre agli itinerari, divisi in sezioni tematiche, si possono trovare informazioni su alberghi, bed & breakfast, strutture di turismo rural, ristoranti, ecc. Nelle cittadine del Centro e in quelle dell’Alentejo, gli uffici turisti locali sono ben organizzati, ricchi di materiale cartaceo e molto gentili. Gli uffici di informazione a Lisbona sono collocati nelle zone strategiche. L’ufficio centrale del turismo si trova in rua do Arsenal 23.

IL CALENDARIO

Il calendario delle celebrazioni per ricordare il 25 aprile 1974 a Lisbona è molto fitto. Alcuni eventi si protrarranno fino a maggio inoltrato. Calendario completo digitando http://25abril40anos-cm-lisboa.pt/. Qui di seguito, alcuni appuntamenti da non perdere se, beati voi, sarete nella capitale lusitana a primavera inoltrata. Fino al 24 maggio, l’Archivio Municipale offre i suoi spazi alla mostra ‘O Arquivo saiu à rua’: raccolta dei manifesti che vennero affissi sui muri della città nei giorni immediatamente successivi alla Rivoluzione. Fino al 26 maggio, ‘O 25 de abril visto pela imprensa italiana’, Biblioteca Museo Republica e Resistencia, espone le pagine dei giornali italiani che raccontarono i giorni dei garofani. Interessante la mostra itinerante sul camion ‘Autocarro do 25 de abril’, che per alcuni mesi attraverserà Lisbona fermandosi nei luoghi più significativi di quella data. ‘O nascimiento de uma democracia’, fino al 30 giugno, Assemblea della Repubblica, percorre il nuovo cammino del Portogallo dopo la fine della dittatura

Il volo

Tap Portugal effettua voli diretti da Roma, Milano, Bologna e Venezia a Lisbona. Il tempo di volo da Milano Malpensa è di circa due ore e mezza. Le tariffe partono da 109 euro andata e ritorno, con 23 chili di bagaglio in stiva e 8 di bagaglio a mano. È possibile effettuare il check-in online e da mobile check-in, da 48 ore a 90 minuti prima della partenza del volo. La carta d’imbarco può essere stampata, oppure presentata sullo schermo del cellulare. Chi non è residente nelle città di partenza e di arrivo dei voli, può usufruire, grazie a un accordo stipulato di recente dalla compagnia aerea con le Ferrovie dello Stato, di tariffe particolarmente vantaggiose sui biglietti Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity. Informazioni e promozioni vengono fornite dal call center Tap, 02/69682334, attivo tutti i giorni dalle 9 alle 20, sul sito flytap.it e scaricando la app gratuita tap portugal.

Descansar (riposare)

A Batalha, Mestre Afonso Domingues, davanti al monastero. Camere di recente ristrutturazione, ben arredate. Una doppia standard va da 75 a 100 euro prima colazione compresa. Molto valido l’annesso ristorante Vintage, prezzi abbordabili. A Juromenha (Alto Alentejo), Casas de Juromenha, un turismo rural affacciato sul Lago di Alqueva. Poche casette in muratura con salone, camera da letto, bagno, veranda. Prima colazione servita ‘a domicilio’, come la cena se si decide per l’eccellente cucina del posto. A seconda della stagione e per due persone, da 65 a 100 euro. Mina de São Domingos (Mertola) Hotel São Domingos, un bel posto in una residenza d’epoca, con 30 stanze di semplice eleganza dotate di terrazzino, prezzi molto variabili a seconda della stagione, hotelsantodomingosmertola.com. Due stelle con calorosa accoglienza al Santa Barbara di Beja. Stanze più che degne per 45 euro, prima colazione compresa. Chiedetene una al terzo piano. Il terrazzino affaccia sui tetti del centro. A Evora Best Western Hotel Santa Clara, Travessa da Milhieira 19. Belle stanze in una casa antica, molta cortesia, 70 euro la doppia con prima colazione.

Comer(mangiare)

A Lisbona, oltre a Casa Pessoa, il Granja Velha, rua dos Douradores 200, chiuso domenica. Cucina regionale, ambiente e camerieri molto simpatici, sui 20 euro. A Nazaré raccomandato A Celeste (nome della proprietaria), avenida da Republica 54, cucina del territorio tra carne e pesce. Porzioni da dividere in due. In quel di Peniche, insuperabile Estelas, rua Paulino Montez 19, caldeirada (pentolata) di pesce e buoni vini. Il figlio del patron conduce il Nau dos Corvos, a Cabo Corveiro, sporto a notevole altezza sulle onde. In cucina, tale il padre tale il figlio. Prezzi onesti in tutti e tre i casi. Per l’Alentejo la palma d’oro va alla Gadanha Marcearia di Estremoz, largo Dragões de Olivença 84. Menu degustazione o alla carta, di sapore alentejano. Si spendono circa 30/35 euro a testa e ne vale la pena. A Beja, il ristorante della Pousada São Francisco, gioiello nel circuito delle pousadas portoghesi, largo D. Nuno Alvares Pereira. Sala da pranzo regale, buon cibo, intorno ai 35 euro. Sempre a Beja, Taberna do 25 abril, rua da Moeda 25, una vera taverna, piatti robusti di carne o pesce, conto sui 20 euro. Infine Evora: Dom Joaquim, rua Penedos 6, cucina del territorio, ambiente gradevole, circa 30 euro senza esagerare; Cartuxa Wine & Flavours, rua Vasco da Gama 15, un bel locale con menu ristorante a circa 25 euro e menu wine bar sui 15.

Comprar (souvenir)

Lisbona: Tourist Shop, rua do Arsenal 17, gadget a tutto tondo, di ottimo gusto e irresistibili. Per la ginginha, Garrafeira Nacional, rua de Santa Justa 18. Estremoz: Afonso Ginja, rua Direita 7, un vero maestro della tradizione dei bonecos (bambole in terracotta dipinta). I suoi lavori sono capolavori. Beja: pasteis e dolci artigianali a Casa de Chá, terreiro dos Valentes 7; cioccolato in abbinamenti insoliti a Mestre Cacau, rua de Sousa 33