Cresce il numero dei ciclisti a Roma e cresce il bisogno di risolvere i tanti problemi meccanici che la bicicletta, come mezzo meccanico puro, porta con sé. È per questo che a Roma sono spuntate come funghi le ciclofficine. Fra centro e periferia, se ne contano più di una dozzina: la Centrale a Monti, Don Chisciotte all’ex Snia Viscosa, Fronte del Porto al Gazometro, l’ex Lavanderia nel ex manicomio di Santa Maria della Pietà, al Forte Prenestino, la Pirata del Quadraro, La Gabbia a Tor Bella Monaca, La Strada a Garbatella e poi la Luigi Masetti a Centocelle, il Ciclosoccorso sull’Ostiense, la ciclofficina di Fisica alla Sapienza, a Colleferro, al Villaggio Olimpico, la Scatenata nel Parco di Aguzzano e il Macchia Rossa a Via Pieve Fosciana. Tutte insieme collaborano sul network Ciclofficine popolari e sono molto attive.
La maggior parte delle ciclofficine romane sono in chiusura estiva ma Giulio, attivista ciclonauta, uno dei meccanici della Centrale, è rimasto in città e mi accoglie calorosamente nella ciclofficina nata durante l’occupazione dell’Angelo Mai, ma che dopo lo sgombero è riuscita a sopravvivere grazie al lavoro dei volontari ai quali il Comune ha concesso in affitto un locale interrato sotto il mercato rionale di Monti. Giulio fa subito riferimento al loro sito www.ciclonauti.org. Un ascensore a livello strada ti fa scendere sotto terra ma in un vero paradiso per ciclisti. In una prima sala c’è un salottino per una prima accoglienza con una piccola biblioteca specialistica sulla bicicletta, poi c’è l’officina vera e propria, piena di arnesi, morsetti, armadietti, cassetti e cassettini pieni di viti, bulloni e maglie di catena. Colpiscono le vecchie taniche di benzina tagliate e adattate a portaoggetti utili e capienti, tutto realizzato con materiale di riciclo e lasciato alla libera creatività degli inventori. Gli avventori possono accedere liberamente e costruire da sé una propria bicicletta sotto la supervisione di esperti meccanici appassionati. I ciclonauti ti mettono a disposizione la loro esperienza, gli attrezzi e persino i pezzi recuperati dallo smaltimento del ciclo dei rifiuti ingombranti, pazientemente smontati, puliti e ordinati in una terza stanza adibita a magazzino. Camere d’aria, cerchioni, forcelle, telai, pedali, catene di trasmissione, cambi e tutto il materiale necessario per riparare, restaurare o creare la tua bicicletta a costo zero. In cambio i volontari chiedono solo un’offerta e, vista l’alta affluenza di utenti, ha loro detta non si possono lamentare. Le Ciclofficine popolari hanno stretto un’accordo con l’Ama e sono diventate punti di raccolta per le bici gettate e abbandonate. Una volta al mese i ciclonauti vanno nelle piazze preposte allo smaltimento, fanno man bassa di carcasse e si portano in officina una quindicina di biciclette o un tempo tali. «Di qui escono tandem, motocicli, bici a due piani, ma la cosa che a me colpisce di più sono le persone che si presentano con catorci arrugginiti della guerra o di nonna che utilizzava per andare in campagna a raccogliere la cicoria in tempi di fame nera. Sera dopo sera, le hanno smontate, pulite, liberate dalla morsa della ruggine, rimontate per una vera rigenerazione del mezzo». La Ciclofficina Centrale ha collaborato con l’Asl per corsi di ciclomeccanica con cui insegnano a ex tossicodipendenti e ragazzi problematici a lavorare sulle bici. Giulio esprime grande soddisfazione per la collaborazione con Binario 95, un’associazione che si prende cura dei senza fissa dimora offrendo loro un pasto, dei vestiti e al bisogno anche un letto per qualche notte. «Dalla loro sede dietro la Stazione Termini sono venuti qui da noi un gruppetto di ragazzi a cui abbiamo fatto un corso di ciclomeccanica – continua a raccontare Giulio – dopo il quale sono riusciti a mettere in piedi una piccola stazione d’affitto con una ventina di biciclette».
Suona il citofono, ci sono visite. Luciano e Francesco, due ragazzi di Torino, sono arrivati a Roma oggi da Palermo. Hanno un problema al freno e Giulio si adopera subito per aiutarli. Stanno facendo un tour in bicicletta di due mesi risalendo lo stivale da Palermo per ritornare a Torino. Le tappe sono continue, Messina, Napoli, Roma, Livorno, Genova e tutti quei paesi e paesini che sapranno accoglierli e potranno godere della loro arte. Sono due insoliti artisti di strada in bicicletta, anche la loro associazione culturale ha un nome alquanto insolito: Tiritera NonLaSolita. Francesco è il musico e gira in tandem. Con il suo ukulele, accompagna lo spettacolo con arrangiamenti estemporanei molto tranquilli che intervalla con un motivo della Bergera piemontese eseguita con l’armonica a bocca. Luciano monta una Graziella adibita al trasporto di una strana scatola, sulle prime alquanto misteriosa e magica. È un box theatre, un tipo di teatro diffuso nei paesi del Nord Europa; una sorta di camera ottica alla fiamminga. Come artisti nascono al Cecchi Point di Torino, una Casa delle associazioni di quartiere dove ci sono realtà come il teatro, la sala prove, una palestra per giovani artisti circensi e atleti, una falegnameria, una carpenteria, un laboratorio di soffiatura del vetro con tecnica di Murano, infine una ciclofficina e un museo della bicicletta. C’è una palazzina dedicata alle attività educative, frequentata come dopo scuola e centri estivi. Francesco e Luciano lavorano con i ragazzi e i bambini problematici per un Cad accreditato dal Comune. «Il primo anno d’occupazione è stato un tacito accordo con il Comune, alcuni consiglieri venivano ad aggiustare le loro biciclette da noi – spiega Luciano – Poi è arrivata la concessione dall’Associazione Il Cappello e dal Campanile».
Per il tour si sono messi in proprio ma non sono soli nel loro viaggio, li accompagna un burattino con i fili, il pagliaccio, il vero showman che introduce il pubblico allo spettacolo, amatissimo dai bambini. Balla, cammina, corre, corteggia e fa la riverenza al passaggio di una donna, saluta, tutto con maestria e grande leggiadria, prende vita ogni volta fra le sapienti mani di Luciano e sempre a cavallo della sua bici. Faranno tappa sabato sera sul lungomare di Porto Santo Stefano e domenica al porto di Talamone. La rappresentazione teatrale nel box, interamente autoprodotto in legno, può essere ammirata dai bambini da una serie di buchi laterali; dentro ci sono incantevoli giochi di luce con led alimentati da piccole torce solari. La storia è quella di Giuanin D’ La vigna, che fin da piccolo ha un sogno: partire. Giuanin però non sa come fare; pensa all’aereo ma dell’aereo ha paura, pensa alla macchina ma la macchina inquina, pensa al treno ma il frecciarossa buca le montagne e lui ama le montagne e gli piacciono così come sono. Pensa alla mongolfiera ma la mongolfiera andrebbe dove porta il vento ma a lui piace scegliere la strada. Pensa alla barca a vela ma con la barca non può raggiungere le sue amate montagne. Mentre ha tutti questi pensieri gli viene fame e inizia a mangiare, un panino, un grappolo d’uva, una fragola, un gelato e per finire una fetta di torta ma… Giuanin ha ancora fame e ne ha più di prima. Chiede un pollastro ma gli portano solo un pollo ancora vivo e lui non riesce a prenderlo, allora gli consigliano di seguirlo con la sua bicicletta e, correndo dietro al pollo, senza neanche accorgersene, è già in viaggio.