Dice un proverbio russo: «È più facile fare la guerra che la pace». A oltre tre anni dagli accordi di Minsk che definivano il perimetro all’interno dei quale reintegrare nello Stato ucraino le provincie ribelli del Donbass, un primo passo verso la pace però è stato fatto.

Il 15 novembre il leader dell’associazione ucraina per i diritti umani «Scelta Ucraina – Diritto dei popoli» Viktor Medvedcik si era appellato a Putin perché intercedesse presso le due repubbliche popolari del Donbass al fine di giungere alla firma di un accordo per lo scambio di prigionieri con il governo ucraino. Il giorno stesso Putin contattava telefonicamente i dirigenti delle «repubbliche ribelli» che si dichiaravano d’accordo di procedere allo scambio. In serata Putin poteva dichiarare che «i dirigenti delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk sostengono l’iniziativa. I particolari verranno definiti direttamente con la parte Ucraina». Il giorno dopo su pressione anche della diplomazia tedesca e francese le due parti giungevano a definire anche gli aspetti tecnici. Le repubbliche libereranno 74 soldati di Kiev e di contro il governo ucraino si impegna a scarcerare 306 sostenitori delle repubbliche «ribelli», una parte dei quali reclusi in Ucraina per motivi politici non legati direttamente al conflitto in corso.

Il definitivo ok dalle due parti è venuto ieri con una una dichiarazione del rappresentante della Repubblica popolare di Donetsk Denis Pushilin rilasciata al canale Rossia24: «Lo scambio di prigionieri avverrà prima della fine dell’anno».

Il ministero degli Esteri della Germania ha salutato il «passo avanti verso la pace». Sulla stessa lunghezza d’onda le dichiarazioni di Parigi e Mosca, gli altri attori del «Formato Normandia», il gruppo di contatto costituito nel 2016 per giungere a una pace duratura nella regione. Una soddisfazione del tutto legittima visto che lo scambio incondizionato dei prigionieri rappresentava uno dei punti fondamentali degli Accordi di Minsk del 2014.

Si attende ora di vedere se gli Usa insisteranno nelle prossime settimane a voler presentare all’Onu, di concerto con il governo Poroshenko, una risoluzione per l’invio di truppe Ocse da dislocare non solo nel Donbass ma anche ai confini tra repubbliche ribelli e Russia. Proposta che Mosca finora ha dimostrato di non gradire.