La situazione si è sbloccata ieri sera, quando i 105 migranti che si trovano a bordo della nave Aquarius della ong Sos Mediterranee sembravano ormai destinati a restare ancora per molto tempo in mezzo al mare. Invece, un po’ a sorpresa, un comunicato della Guardia costiera ha reso nota la decisione presa insieme al ministero degli Interni di indicare alla Aquarius un porto sicuro nel quale sbarcare gli uomini, le donne e i bambini tratti in salvo domenica scorsa dalla ong spagnola Proactiva al largo delle coste libiche. Dietro la decisione del Viminale c’è sicuramente l’ostinazione delle autorità marittime britanniche – competenti perché la Aquarius batte bandiera inglese – a non fornire indicazioni precise all’equipaggio su dove dirigersi, ma deve aver avuto il suo peso anche la presa di posizione assunta dalla Commissione europea che ha definito «increscioso» il ritardo sia di Roma che di Londra nell’indicare un porto sicuro: «La priorità deve essere che i migranti a bordo ricevano l’aiuto di cui hanno bisogno», aveva spiegato in mattinata la portavoce della Commissione.

La vicenda sembra quindi essersi risolta nel modo migliore ma casi simili a quelli della Aquarius sembrano destinati a ripetersi, con il governo italiano che non vuole più accogliere tutti i migranti tratti in salvo e – quando non interviene a Guardia costiera libica a riprenderseli – prova quindi a forzare la mano degli altri Stati europei. In mezzo, a pagare le conseguenze di questo rimpallo tra Stati, persone che fuggono anche dalle condizioni disumane nelle quali vengono trattenute in Libia.

L’intervento sul gommone mezzo sgonfio e carico di migranti era avvenuto domenica mattina da parte della ong spagnola Proactiva Open Arms che aveva ricevuto l’allarme per un’imbarcazione in difficoltà da parte del Imrcc di Roma, la sala operativa che coordina gli interventi di soccorso. Una volta trattai in salvo, però, per essere trasferiti sulla nave Aquarius, più grande e in grado di assistere i migranti, era necessaria l’autorizzazione da parte di Roma o della Guardia costiera inglese. Autorizzazione che non è arrivata fino a lunedì sera, quando finalmente da Roma è arrivata il via libera al trasbordo. A quel punto restava da attendere l’indicazione di un poto dove sbarcare i migranti, senza che né Roma né Londra si decidessero a intervenire. «La nave Aquarius continua la su permanenza in mare senza trovare un approdo sicuro perché attende l’autorizzazione inglese ad attraccare in qualsiasi porto», denuncia in mattinata il direttore dell’Unar, l’ex senatore Luigi Manconi. Da Bruxelles, infine, fa sentire la sua voce anche la Commissione Ue sollecitando le autorità italiane e britanniche a trovare al più presto una soluzione. La Commissione ne approfitta anche per assolvere l’operato delle navi europee, «comprese quelle italiane», che «agiscono nel pieno rispetto del diritto internazionale, e secondo il principio del non respingimento».

L’Unione europea preferisce però chiudere gli occhi sul fatto che l’Italia affida ormai sempre più spesso il coordinamento dei soccorsi alla Libia, Paese che non possiede una propria area Sar (ricerca e salvataggio) e soprattutto che non rispetta i diritti umani dei migranti.
Dopo aver navigato per tutta la mattina a fianco della nave Astral della ong Proactiva, che più ha fatto rotta verso malta, la Aquarius rimasta al largo di Tripoli in attesa di indicazioni, mentre le condizioni del mare rendevano sempre più urgente l’indicazione di un porto verso il quale dirigersi. Cosa che è avvenuta solo in serata, quando anche la Viminale si sono resi conto che da parte della Gran Bretagna non sarebbe arrivato nessuna indicazione utile a sbloccare la situazione. E a quel punto non è restato altro da fare che autorizzare l’ingresso in un porto.