«Accettate che la scuola parli di sessualità ai minori senza il consenso dei genitori?» o «Siete a favore della promozione di trattamenti funzionali al cambio del sesso dei minori?».

Sono due dei cinque quesiti previsti nel referendum sulla legge anti-Lgbtq annunciato nella seconda metà di luglio dal governo ungherese. La formulazione di queste domande ricorda quella della consultazione sull’immigrazione e il terrorismo del 2015, contenente quesiti tesi a dare un’immagine negativa dell’immigrato e a presentare la tematica in modo fuorviante.

FUORVIANTE perché paventava l’invasione in massa dell’Ungheria e dell’intera Europa da parte di migranti musulmani in grado di mettere a repentaglio la sopravvivenza del Vecchio Continente. Qualcosa di simile sta avvenendo ora, sul piano propagandistico, con il referendum su una legge che per la comunità Lgbtq ungherese è discriminatoria e omofoba e per la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen è «vergognosa».

In altre parole, il governo Orbán arriva a colpevolizzare l’omosessualità e a trattarla come un virus contagioso solo a parlarne. Da lì il divieto di trattare questo argomento nelle scuole per preservare l’equilibrio dei più giovani e tenerli lontani da contenuti che, secondo le ragioni del sistema, potrebbero turbare le loro menti e, aggiungeremmo interpretando la visione del governo, facilitare il loro approdo, in prospettiva, a scelte sessuali considerate deplorevoli sul piano etico e pratico.

PRATICO perché il paese ha una situazione demografica tutt’altro che florida e l’esecutivo ha tra le sue priorità l’incremento delle nascite. Alla luce di questa logica l’omosessualità viene stigmatizzata come comportamento sessuale non funzionale all’agenda natalista del governo e quindi, in un certo modo, antipatriottico.

Così il Comitato elettorale ungherese ha acceso il semaforo verde. Il primo ministro ungherese punta sul risultato del plebiscito referendario per rafforzare la sua posizione sia in patria che in ambito europeom e mira a confermarsi, agli occhi dei suoi connazionali, nelle vesti di unico uomo politico ungherese in grado di tutelare gli interessi nazionali e il benessere popolare. L’unico che si faccia realmente carico dei problemi che affliggono il paese e cerchi una soluzione concreta.

A LIVELLO INTERNAZIONALE continua a svolgere il ruolo di leader europeo impegnato a sostenere il diritto non solo dell’Ungheria ma anche degli altri stati membri dell’Ue ad affermare la loro sovranità nazionale e quindi a legiferare in modo autonomo da Bruxelles.

Mentre scriviamo la data della consultazione non è stata ancora stabilita; Orbán preferirebbe che la medesima si svolgesse prima delle elezioni politiche previste per l’aprile del prossimo anno e appare comunque certo di incassare il favore dell’elettorato.

L’opposizione attacca e promette di dar battaglia al governo trovando nel referendum un ottimo spunto per far sentire la sua voce. Coalizione Democratica (DK) ha annunciato di recente un impegno tutto volto, nell’immediato, a far fallire la consultazione che per avere successo deve ottenere che almeno il 50% più 1 degli aventi diritto esprima un voto valido.

Il governo farà quindi di tutto per evitare che finisca come nel 2016, quando il referendum sull’accoglienza obbligatoria ai migranti fallì per insufficiente affluenza alle urne. Quella di oggi sulla legge anti-Lgbtq viene descritta dall’opposizione come un’iniziativa scellerata, un nuovo capitolo dell’assurda guerra voluta dal premier contro l’Ue.

Già da subito la natura dei quesiti proposti dal governo agli aventi diritto è stata aspramente criticata dalla comunità Lgbtq e dalla stessa opposizione partitica e sociale come parziale e tale da orientare la risposta degli elettori. Come nel caso dell’immigrazione verso l’Europa, il governo ungherese ha visto nel problema demografico una carta da giocare per rafforzare la sua posizione in patria.

LA PROPAGANDA del sistema non accetta il principio del ripopolamento del paese e del resto dell’Europa da parte di immigrati provenienti da altri contesti culturali. «L’Ungheria agli ungheresi, l’Europa agli europei», tuona il tam tam mediatico governativo che mostra di considerare la tolleranza verso comportamenti sessuali diversi da quelli etero come espressione tipica dell’Europa occidentale liberale e decadente e questa stessa tolleranza come incoraggiamento a costumi eticamente inaccettabili.

Per convincere l’elettorato il sistema non esita a ricorrere a evocare scenari apocalittici come quello della possibile estinzione della popolazione ungherese dalla carta europea se non si corre ai ripari. Nulla di nuovo da parte del governo Orbán.