Dopo 200 giorni di governo controllato da Madrid grazie all’articolo 155 della Costituzione, e a quasi 5 mesi dalle elezioni del 21 dicembre, la Catalogna ha finalmente un nuovo presidente. Mancano solo dieci giorni alla scadenza dopo la quale sarebbero scattate elezioni anticipate automatiche. Ieri il Parlament di Barcellona ha votato per un pelo, e con l’astensione della Cup, Quim Torra come nuovo capo dell’esecutivo catalano. Appena il capo dello stato, il re Filippo di Borbone, firmerà la nomina (fra oggi e domani), automaticamente verrà sospesa l’applicazione del 155 e l’esecutivo catalano tornerà ad assumere pieni poteri. La nomina dei ministri è attesa entro la fine della settimana.

Con 66 voti a favore (il PdCat, partito dell’ex presidente Carles Puigdemont, e Esquerra Republicana, che ha accettato a denti stretti un candidato molto divisivo pur di avere un governo), 65 contrari (tutto l’arco cosiddetto costituzionalista – Ciudadanos, socialisti e popolari – più il partito di sinistra guidato da Ada Colau, Catalunya en comú) e le 4 astensioni della Cup (che hanno ancora una volta scelto di dare priorità a un vago progetto di indipendenza e allo scontro con Madrid piuttosto che a una piattaforma sociale), Torra è riuscito a superare la seconda votazione parlamentare (la prima è stata sabato), dove per ottenere l’investitura bastavano più sì che no. Chiave è stata la scelta di Madrid di non impugnare la delega del voto concessa dalla presidenza del Parlament a Puigdemont e all’ex ministro Comín: senza questi due voti, Torra non ce l’avrebbe fatta.

Arrivare a questo punto però è stato molto complesso, pieno di tira e molla fra il governo spagnolo e quello catalano. Armi giudiziali in pugno, Rajoy ha impedito la nomina di tre candidati: lo stesso Puigdemont (ora a Berlino in attesa di sapere se verrà estradato), Jordi Sánchez (a cui il giudice non ha dato il permesso di lasciare il carcere in cui è rinchiuso in prigione preventiva da ottobre) e Jordi Turull (arrestato e in carcere preventiva dal giorno dopo il primo voto di investitura – in cui non aveva raggiunto la maggioranza assoluta dei voti necessaria in prima votazione).

Dopo che il Parlament la settimana scorsa aveva approvato una legge che permetteva di nominare un candidato assente, il governo spagnolo aveva impugnato la norma davanti al tribunale costituzionale, bloccando la manovra simbolica per votare lo stesso Puigdemont. E così sabato scorso la scelta dell’ex president è caduta su Quim Torra, personaggio molto criticato per i suoi scritti suprematisti (in cui se la prende con «gli spagnoli» e quelli che in Catalogna non parlano catalano, e in generale con la metà dei catalani che non si riconoscono nel progetto indipendentista).

L’unica qualità di Torra è quella di non fare ombra a Puigdemont, che sembra speri di poter tornare ad assumere le redini del governo. La gettonatissima Elsa Artadi, il piatto forte del Pdcat (il partito di Puigdemont) per ora rimarrà come portavoce. Fra i ministri probabilmente verranno nominati simbolicamente molti ex ministri in carcere o in esilio.