Le Camere hanno approvato la Nota di aggiornamento al Def: 161 voti al Senato, 331, un po’ meno del previsto, alla Camera. Lunedì, parola di Luigi Di Maio, la legge di bilancio sarà approvata dal consiglio dei ministri e partirà per Bruxelles. La partita vera e propria inizierà in quel momento.

La risoluzione di maggioranza sul Def ieri si è fatta attendere per ore: segno chiaro delle tensioni che corrono sottopelle nella maggioranza non solo sulla divisione dei fondi ma anche, anzi soprattutto, sul come reperirli. Manca ancora una parte sostanziosa dei 15 miliardi di coperture che ballano da giorni ma per il «governo del cambiamento» ricorrere a tagli e tasse non sarebbe un buon viatico per la difficile sfida che lo attende. Alla fine dovranno esserci ma quanto più camuffati possibile. Ma certamente la sforbiciata alle detrazioni fiscali sarà dolorosa.

NELLA RISOLUZIONE CI SONO tutte le riforme della discordia. La data per l’entrata in vigore resta però in bianco e il capogruppo M5S Patuanelli specifica: «Reddito e quota 100 possono entrare in vigore in primavera». In marzo o più probabilmente il primo aprile. La Lega non si scompone. In realtà la decisione è stata concordata da Giorgetti e Tria. In parte per prendere tempo nella ricerca delle coperture. In parte per pesare di meno sui conti dell’anno prossimo. Ma in parte anche per proseguire nella trattativa a distanza sul vero nodo fondamentale della manovra, la Fornero. Un passo indietro del governo non è ipotizzabile ma le modalità di applicazione possono avere il loro peso.

I SOGGETTI CHE nei giorni scorsi hanno bersagliato di critiche il Def di Roma aspettano tutti la manovra vera e propria per decidere come muoversi. I toni differiscono. Più duro il vicepresidente della commissione Ue Katainen: «Il nostro interesse è convincere il governo italiano a prendersi le sue responsabilità». Più dialogante Moscovici, tornato colomba dopo l’escursione nel regno dei falchi e in procinto di arrivare a Roma alla fine della prossima settimana: «Raffreddiamo il clima. Abbiamo bisogno di uno sforzo di riavvicinamento». La sostanza è identica. L’ultima parola non è ancora stata detta. La risposta dei mercati, con lo spread sempre intorno a quota 300 non è stata affatto disastrosa. La scelta tra guerra e pace dipenderà dal contenuto della legge di bilancio.

E’ significativo che nella discussione parlamentare di ieri le critiche si siano appuntate essenzialmente sull’uso che il governo intende fare del deficit, non contro lo sforamento in sé. La critica più puntuale «da sinistra» è venuta da LeU che ha accusato il governo di essere in sostanziale continuità, propaganda e cosmesi a parte, con il passato. La presidente De Petris ha scelto di presentare proprio ieri una proposta di riforma per cancellare dalla Costituzione il pareggio di bilancio, una sfida precisa rivolta alla maggioranza. Ma di questi umori che anche nell’opposizione appaiono pochissimo convinti dal rigorismo Bruxelles dovrà tenere conto.

IL GOVERNO INSISTERÀ sulla necessità di varare una manovra in controtendenza con il passato per aprire le porte a quello che Savona, che ha ormai preso in mano le redini della politica economica a scapito del titolare Tria, definisce davanti al parlamento «un nuovo New Deal». Negherà tuttavia fieramente che ciò implichi una volontà di rottura con l’Europa. «Non vogliamo rompere ma cambiare la Ue», giura di Maio. «Il Pil crescerà più di quanto abbiamo previsto e non saremo più fanalino di coda dell’Europa», azzarda Conte.

Ma arrivati al momento della verità i discorsi lasceranno il campo a un banco di prova secco: se e quanto il governo tornerà indietro sulla Fornero. Il tempo stringe e non è più possibile nascondere che la vera posta in gioco è quella. L’Fmi e Bankitalia lo hanno detto a chiare lettere, il capo dello Stato ha fatto trapelare preoccupazione sulla «sostenibilità» di quota 100, Moody’s lo ha lasciato intendere. I continui richiami alla necessità di «vedere nel dettaglio» cosa dirà la legge di bilancio alludono essenzialmente al temuto rimaneggiamento della riforma del 2012. Ieri è sceso in campo a spada tratta Boeri, presidente dell’Inps: «Rischia di minare alle basi la solidità del sistema e di penalizzare donne e giovani. Aumenterà il debito pubblico di 100 miliardi». La replica a muso duro è immediata, Salvini «da italiano» lo invita «a dimettersi» dalla guida dell’Inps. Se sia sceneggiata o se il governo sia davvero deciso a portare la sfida alle estreme conseguenze lo si capirà lunedì.