Contestare una multa per divieto di sosta in Italia sarà presto più importante che garantire protezione internazionale a chi fugge dal proprio paese per non morire. Nel caso della multa si ha infatti diritto a tre gradi di giudizio – primo grado, appello e Cassazione -. Per quanto riguarda il rifugiato, invece, se il disgraziato di turno si vedrà respingere la richiesta di asilo potrà sperare solo in un rovesciamento della decisione da parte della Cassazione.
L’abolizione dell’appello nelle procedure per le richieste di asilo è uno dei punti del decreto legge sull’immigrazione che oggi sarà licenziato dal Senato con il voto di fiducia. Una decisione – quella di porre la fiducia – annunciata ieri in aula dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro e contro la quale si sono schierati i senatori Pd Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato, e Walter Tocci che oggi dunque voteranno contro il provvedimento in contrasto con il loro partito.

Stando a ministri degli Interni e della Giustizia Minniti e Orlando, ai quali si deve la misure restrittiva, la soppressione dell’appello servirebbe a sveltire le procedure di esame delle richieste di asilo. La misura è stata duramente contestata dalle associazioni che si occupano di immigrazione, ma anche dall’Associazione nazionale magistrati (Anm) e dal Consiglio superiore della magistratura che in un parere inviato nei giorni scorsi al Guardasigilli ha denunciato il rischio di una «diffusa compressione delle garanzie del richiedente». Una limitazione che in futuro potrebbe aprire la strada a un possibile ricorso alla Corte costituzionale.

Così come a rischio incostituzionalità potrebbe essere anche la decisione, adottata sempre nel decreto, di istituire nei tribunali 26 sezioni «specializzate» nell’esame dei ricorsi contro il diniego delle richieste di asilo e di quelli contro i provvedimenti di espulsione, e formate da magistrati esperti del fenomeno migratorio. Secondo alcuni giuristi, infatti, la decisione contrasterebbe con quanto previsto dall’articolo 102 della Costituzione, che proibisce l’istituzione di «giudici straordinari e giudici speciali». Non si tratterebbe solo di un problema relativo alle parole «speciali» e «specializzate», bensì più in generale al fatto che verrebbero a crearsi magistrati esperti più che di immigrazione in generale, soltanto di protezione internazionale.

Il decreto prevede poi la sostituzione, più volte annunciata dal ministro Minniti, dei Cie con i Cpr, vale a dire degli attuali Centri per l’identificazione e l’espulsione dei migranti irregolari con i Centri di permanenza per il rimpatrio, con inoltre la possibilità di allungare i tempi di detenzione dagli attuali 90 giorni fino a 135. I piani del Viminale prevedono un Cpr in ogni regione ognuno dei quali in grado di detenere fino a un massimo di 100 persone. Nel provvedimento che verrà approvato oggi per poi passare alla Camera è prevista infine anche la possibilità per un Comune di utilizzare i richiedenti asilo presenti nel proprio territorio in lavori socialmente utili, senza compensi in denaro né obbligo di accettazione da parte dei rifugiato.

Dall’Arci ad Amnesty, da Antigone al Cir, al Centro Astalli, al Cnca e alla Comunità di sant’Egidio sono state numerose le associazioni della società civile che hanno criticato il decreto, per molte delle quali le misure previste hanno una carattere puramente elettorale. Ma se molti dei provvedimenti previsti probabilmente non verranno mai realizzati (come i rimpatri, per i quali servono accordi bilaterali con i Paesi di origine che al momento non ci sono), diversa è la situazione per quanto riguarda la soppressione dell’appello, misura che potrebbe entrare in vigore non appena il decreto avrà ricevuto il via libera della Camera. Tra tutte quelle previste certamente quella più pericolosa. Tanto da aver spinto i due senatori del Pd ad annunciare l’intenzione di non votare oggi la fiducia. Per Luigi Manconi e Walter Tocci, infatti, il decreto Minniti-Orlando «configura per gli stranieri una giustizia minore e un ’diritto diseguale’, se non una sorta di ’diritto etnico’ connotati – spiegano – da significative deroghe alle garanzie processuali comuni». Critici verso il provvedimento anche i Radicali italiani che puntano il dito in particolare sui rimpatri. «Il ministro dell’Interno – commenta il segretario Riccardo Magi – non ha ancora chiarito come farà a renderli effettivi nel rispetto dei diritto europeo e internazionale».