Maggioranza sulle montagne russe. Va a un millimetro dalla spaccatura clamorosa sulla riforma della giustizia, o meglio sulla prescrizione, con l’astensione in sede di cdm minacciata dai ministri 5S. Dopo ore di incontro tra gli stessi ministri da un lato, Draghi e la ministra Cartabia dall’altra, la lacerazione sembra ricucita. Il nodo è l’obbligo per i processi d’appello di concludersi entro due anni e per la Cassazione entro un anno, pena l’improcedibilità, cioè la cancellazione del processo.

Per i 5 Stelle è lo smantellamento della legge Bonafede contro la prescrizione. S’impuntano, anche se in realtà bisognerebbe dire i 5S fazione Conte, cioè il grosso dei senatori guidati dal capogruppo Ettore Licheri e il capodelegazione al governo Patuanelli, perché i 5S fazione Grillo, con il capo dei deputati Crippa e Di Maio sono di parere opposto anche se scelgono di evitare una frattura aperta che è già nei fatti. La formula che dovrebbe riportare la pace è l’allungamento dei tempi per i processi contro la Pubblica amministrazione: concussione, corruzione, induzione alla corruzione, induzione a dare o promettere utilità. In questi casi l’appello dovrebbe svolgersi entro tre anni e la cassazione entro 18 mesi.

CON DUE ORE DI RITARDO la riunione inizia ma s’interrompe subito perché la mediazione raggiunta non piace a Fi, che chiede una sospensione, e neppure a Iv. Quando i ministri riprendono il cdm a singhiozzo fonti del governo fanno sapere che anche nei casi di reati contro la Pa non c’è nessun vero automatismo. I tempi dovrebbero essere allungati, forse a discrezione del giudice, solo nei casi di procedimenti particolarmente complessi, ad esempio con molte parti in causa coinvolte. I 5S non si fanno pregare e passano a far filtrare a propria volta la loro posizione: «Sui reati contro la Pa non arretriamo di un centimetro. Per noi è un punto irrinunciabile». La giostra riparte ma alla fine la mediazione raggiunta dalla guardasigilli e dai ministri 5S, sia pure con alcuni margini di ambiguità, regge.

CHI NON ARRETRA davvero di un centimetro è Draghi. Dalla riunione vuole che si esca con le linee generali della riforma pronte. Per questo ha evitato di convocare la cabina di regia alla vigilia del cdm e per questo ha respinto la richiesta del Movimento di non procedere all’approvazione della riforma limitandosi a una informativa della ministra Cartabia. Non si tratta di un capriccio. Il rispetto della tabella di marcia è fondamentale tanto per palazzo Chigi quanto per Bruxelles. La credibilità dell’Italia nella sfida di un Pnrr col quale Draghi ha deciso di giocarsi, unico tra i premier europei, l’intera posta dipende in buona parte da questo elemento.

Proprio ieri il rapporto annuale della Commissione sulla giustizia nei diversi Paesi Ue ha letteralmente massacrato l’Italia, in particolare per i tempi eterni dei processi. Il commissario Reynders, presentando il documento ha ricordato che l’Italia si è impegnata «a ridurre i tempi delle cause civili del 40% e di quelle penali del 25%: vedremo». Di qui la fretta di Draghi, la sua indisponibilità a procrastinare. La mette giù senza giri di parole: chiede il sostegno unanime e la garanzia che ci sarà anche quando, il 23 luglio, la riforma arriverà in aula. Nessuno la nega. Il cdm si conclude licenziando, ma con «voto non formale», la riforma.

LE ESIGENZE di un Movimento allo stremo sono diverse. La giustizia, in particolare la prescrizione, è l’ultima ridotta. Il bunker che ancora pochi giorni fa Patuanelli garantiva intoccabile nei fondamentali. Ma i 5S sono divisi e isolati. Stavolta anche il Pd è sul fronte opposto. Letta è tassativo: «Competenza e terzietà della ministra Cartabia sono una garanzia per tutti. Si tratta di un obiettivo non più rinviabile». Salvini rivendica il ruolo leghista di «forza d’equilibrio mentre i 5S fanno le bizze». L’Iv Lucia Annibali suona il de profundis per l’ex guardasigilli: «I 5S hanno voluto il contentino ma si chiude oggi l’era Bonafede».

IN REALTÀ NELLA RIFORMA c’è un punto critico in più. In una lettera inviata ieri alle parlamentari, l’associazione Donne in rete contro la violenza denuncia diversi articoli che offrirebbero facili scappatoie nei processi per stupro.