Il repertorio della sceneggiata renziana è da grandi occasioni: il muso duro, quel tanto di bullismo che non guasta. Solo che stavolta il premier non se la prende con la minoranza del suo partito, dove il gioco è facile. Stavolta il bersaglio è addirittura la Ue. «Tutti in ferie a Bruxelles quando si parla d’immigrazione, poi quando si parla di tasse si svegliano tutti insieme. Ma le tasse noi ce le abbassiamo da soli: non ci facciamo dire dalla Ue cosa tagliare e cosa no».

Toni da scontro frontale. Però non vanno presi troppo sul serio. Roma scommette sulla trattativa discreta, non sullo scontro. Mira a convincere con le buone, non a strappare con le cattive. Gli argomenti saranno le riforme già varate, prova se non altro di buona volontà, e soprattutto il rischio che sgambettare il governo in carica a Roma porti a doversela poi vedere con guai ben peggiori. I ruggiti sono a uso interno: servono a dimostrare che al timone c’è un ragazzo pronto, se del caso, a sfidare anche i fortissimi.

Sulla pietra dello scandalo, il taglio della tassa sulla casa, però Renzi intende davvero tener duro. Non potrebbe fare altrimenti: una volta imbarcatosi nella più berlusconiana delle imprese, la ritirata sarebbe disastrosa. Già ieri un coro folto di esponenti del centrodestra denunciava con larghissimo anticipo il presunto bluff del premier, a partire dall’immancabile Brunetta: «Ci fa piacere che Renzi abbia sposato la nostra linea politica, però chiacchiera a vuoto: non ha né i soldi né la base politica per questa detassazione».

Quei soldi invece il governo deve a questo punto trovarli ad ogni costo. Renzi il giocatore punta tutto sulla carta che vent’anni di berlusconismo hanno dimostrato essere vincente e rilancia: «Italiani, segnatevi la data del 16 settembre: sarà quella del funerale della tassa sulla casa». Con la sola eccezione del titubante ministro dell’Economia, può contare sul sostegno dell’intero governo. Delrio, sia pur con toni meno rissosi, respinge al mittente le critiche europee, secondo cui l’Italia dovrebbe insistere nel detassare le aziende invece di intervenire sugli immobili: «Le tasse sul lavoro abbiamo già iniziato ad abbassare. Tagliare la Tasi è un’operazione complementare, non alternativa, e può aiutare la ripresa dei consumi». L’Ncd corre in soccorso lancia in resta, con l’ex ministro Lupi: «Seguendo le ricette di certi funzionari europei, l’Italia sarebbe ancora in recessione. Taglieremo la Tasi perché siamo convinti che porterà benefici a economia, famiglie e imprese».

A fronte di questa rumorosa levata di scudi italiana, l’Europa reagisce con gelo, affidando una succinta replica alla portavoce della commissione Affari economici Annika Breithardt: «Non abbiamo altro da commentare. Quando avremo maggiori informazioni, con il progetto della legge di bilancio, faremo una valutazione basata sui fatti e sulle nostre previsioni economiche». Anche se i guardiani del rigore evitano di tornare specificamente sul capitolo Tasi, non è un messaggio rassicurante. Per la finanziaria, come sarebbe onesto tornare a chiamarla, il governo dispone attualmente di una decina di miliardi, rintracciabili peraltro con scelte tutt’altro che indolori, dal momento che comporteranno non solo gli strombazzati «tagli degli sprechi» ma anche interventi su sanità e pensioni. Ne servono altri 15 nella migliore delle ipotesi, 20 nella peggiore e di gran lunga più probabile.

Il classico gioco delle tre carte consistente nel far ricadere sui comuni il peso di ulteriori aggravi fiscali è già stato adoperato troppe volte, e stavolta potrebbe non riuscire. Nelle file del Pd è proprio il sindaco di Torino e presidente dell’Anci Piero Fassino a mettere per primo le mani avanti: «Benissimo il taglio della tassa sulla casa, purché ai Comuni restino le stesse risorse garantite da Tasi e Imu».

Significa che per Renzi la sola strada praticabile passa per la concessione di maggiore flessibilità da parte dell’Europa. Sino al 15 di ottobre, data fissata per la presentazione della legge di bilancio, ruggirà in pubblico, implorerà in privato.