«L’intero consiglio ha espresso la più forte vicinanza al ministro Idem che ha rassegnato le dimissioni». Con queste parole ieri il presidente Letta ha liquidato a palazzo Chigi la questione della ormai ex ministra delle pari opportunità, Josefa Idem «spacchettando» le deleghe del ministero. Con la freddezza di un chirurgo, ha assegnato la delega delle pari opportuinità alla vice ministra del lavoro, Cecilia Guerra, le politiche giovanili alla ministra dell’integrazione, Cecile Kyenge, mentre lo sport è andato al ministro degli affari regionali, Graziano Delrio, coadiuvato dalla sottosegretaria alla pubblica amministrazione, Michaela Biancofiore. Con la rapidità che divide il lampo dal tuono, è stato fatto sparire un ministero che aveva intrapreso un serio lavoro sulla violenza contro le donne e sui diritti Lgbt, come forse mai era successo in questo Paese. In questi mesi Idem aveva dialogato con le ong che lavorano sulla violenza e i movimenti per i diritti civili, decisa a portare a termine il suo lavoro sia con una legge contro l’omofobia e la transfobia, sia con una task force e un tavolo interministeriale contro la violenza sulle donne che avrebbe dato slancio alla complessa implementazione della Convenzione di Istanbul da poco ratificata dalle camere. Un’impresa che sembra difficile da portare avanti con una delega al dicastero del lavoro che, come abbiamo già visto con Fornero, è già molto occupato su altre questioni. Un danno che le italiane, che avevano sperato in una ministra che si era messa finalmente ad ascoltare chi sulla violenza ci lavora da tempo, non incassano. Donne che da due giorni lanciano appelli e gridano per avere una ministra ad hoc, e non una delega che rischia di appiattire il lavoro da svolgere. Sono la Rete delle reti femminili, che sta divulgando anche una lettera firmata da 50 associazioni, Snoq, Giulia, ma anche la petizione promossa dall’avvocata Barbara Spinelli, in cui si mette nero su bianco l’urgenza di una ministra che non può essere considerata come «una figura accessoria, rinunciabile ad libitum, ma che abbia «un ruolo primario per assicurare l’efficacia dell’azione del governo nell’adempimento delle sue obbligazioni internazionali in materia», già assunte con la ratifica della Cedaw e della Convenzione di Istanbul. «Finora l’azione più incisiva del governo Letta è stata proprio quella sulla violenza contro le donne – spiega Spinelli – e Idem stava ponendo le basi per una riforma strutturale che avrebbe coinvolto sia la società civile che tutti i ministeri. Un’azione che si sarebbe coordinata con l’attività di camera e senato, contruibuendo così anche alla riabilitazione dell’immagine dell’Italia davanti agli organismi internazionali che ci hanno da tempo redarguito».
Un vuoto che lascia aperte questioni fondamentali, come il femminicidio e i diritti Lgbt, ma che soprattutto si è consumato ai danni di una donna linciata mediaticamente, con una violenza inaudita che va al di là delle sue reali responsabilità ancora tutte da dimostrare. In un contesto isituzionale non proprio limpido – e senza aspettare verifica di eventuali illeciti amministrativi imputati alla ex ministra e con un procedimento alla Procura di Ravenna senza ipotesi di reato (modello 45) – Idem è stata chiamata «ladra» e «puttana», ed è stata costretta ad andarsene perché di fronte a questa lapidazione mediatica, è stata anche lasciata sola. Una modalità con cui non solo si è «fatta fuori» una ministra ma tutto il ministero. Evidentemente il suo lavoro non piaceva proprio a tutti e tutte.