Il 5 gennaio Matteo Renzi aveva proposto l’abolizione del canone Rai. Ma era stato accolto da una salva di fischi. «Una stravaganza, una presa in giro», aveva commentato il ministro Carlo Calenda, ed era stato il più composto. Non a caso poi nel programma elettorale la proposta era sfumata.

Ieri il presidente del consiglio Paolo Gentiloni ha annunciato un atto di governo fresco di giornata: «Un decreto che aumenta la fascia di reddito per le persone over 75 esentate dal pagamento del canone della Rai. I nuclei familiari over 75, che saranno esentati diventeranno 350 mila dai 115mila di oggi ». In sostanza 235mila anziani non abbienti in più non pagheranno la tassa sulla tv pubblica. La fascia di reddito esentata passa dai 6mila agli 8mila euro l’anno. «So quanto la tv sia importante soprattutto per queste fasce sociali in difficoltà e sole», chiosa il premier. Una scelta dell’ultimo momento? Da Palazzo Chigi si assicura che era prevista da tempo.

IL DECRETO è bollato dai leghisti e dai cinquestelle come «mancia elettorale» (Calderoli: «Lieti che centomila anziani in più non debbano pagare per vedere la tv, ma perché queste misure non sono state adottate prima e sono state tenute per le ultime settimane come marchette elettorali?»). Nonostante l’evidenza, le sinistre non si impegnano nella polemica: si tratta pur sempre di una meritevole riduzione di tasse per una fascia debole.

MA IL GESTO parla al paese ed è l’ennesima sottolineatura del Gentiloni style. Persino sul canone Rai il premier porta a casa un risultato concreto e più credibile delle pirotecniche promesse di Renzi. E quel Calenda (di giorno in giorno più popolare) che aveva attaccato Renzi sull’abolizione del canone, stavolta è uno dei firmatari del decreto, con il collega Padoan.

È ORMAI GENTILONI l’uomo di punta della campagna elettorale del Pd. Con buona pace del fatto che Renzi è il «candidato premier» uscito dalle primarie, come ricorda il presidente Orfini; e che il Rosatellum lo indica come «capo della forza politica». Dopo l’esplicita investitura di Prodi dal palco di Bologna, domenica 25 a Roma il premier riceverà gli omaggi pubblici di un altro dei padri fondatori dem: Walter Veltroni, l’ideatore della «vocazione maggioritaria» madre e matrice dell’«autosufficienza renziana. Veltroni però oggi si è trasformato in un grande fautore di un’alleanza di centrosinistra. Di cui ha tessuto le lodi ieri alla presentazione di un libro di Roberto Morassut, assessore ai tempi della sua sindacatura. Accanto ai due c’era Francesco Rutelli, a sua volta amico e sodale di Gentiloni, che è stato suo assessore.

Un intreccio di antiche e vittoriose vicende uliviste e di centrosinistra che fatalmente conduce agli endorsement per l’attuale premier.

A prenderla malissimo sono quelli di Liberi e uguali, ex cultori dell’Ulivo. Pier Luigi Bersani, amico di Prodi da tempi lontanissimi, ha sperato fino all’ultimo che almeno il prof non si schierasse apertamente con l’allaenza Pd. Invece Prodi lo ha fatto, definendo per di più gli scissionisti «amici che sbagliano». «È la stessa cosa che penso di lui», replica in radio un piccato Massimo D’Alema, «La legge elettorale, che Gentiloni ha imposto con otto voti di fiducia, prevede che ci sia il Pd e il capo, che si chiama Matteo Renzi. A Romano dico con grande amicizia che dicendo che vota Insieme voterà per Casini e per Renzi, e ritengo che non sia utile né al paese né al centrosinistra. È lunare pensare che possa vincere il Pd». Anche Piero Grasso replica: «Se Renzi ha detto che bisogna turarsi il naso anche per votare Pd, non c’è dubbio che anche Prodi si dovrà turare il naso per votare a Bologna Casini e non Vasco Errani».

NEL GIORNO in cui Renzi e Casini si abbracciano in una gremita Casa del popolo di Bologna («Lo abbiamo fatto diventare comunista», scherza il segretario) Prodi invece non sembra affatto preoccupato: né dal voto da dare all’ex forlaniano né dalle critiche della sinistra bersaniana. «Come tutte le cose che ti vengono naturali uno si aspetta che siano accolte anche in modo naturale da chi ti ascolta», risponde, «Però non è stato certo equivocato quello che ho detto: non posso neanche accusare i giornalisti». Anche Casini si toglie il gusto di replicare a D’Alema dall’insolita (per lui) cornice della Casa del Popolo: «Dopo aver passato una vita a cercare alleanze più ampie, oggi si è chiuso nel fortilizio dei risentimenti e delle ridicole autosufficienze»