Alla fine, dopo una notte di contatti andati a vuoto e quando la stessa sorte sembrava inevitabile anche per l’assemblea sulle due nomine mancanti nel cda Rai, Salvini ha giocato la sua carta coperta.

Forse è stata davvero una trovata dell’ultimo momento, più probabilmente era quello che aveva in mente sin dall’inizio e la candidatura della Bianchi Clerici era solo uno specchietto per le allodole.

È una carta pesante: alla presidenza va Marcello Foa, sovranista convinto, uno degli uomini che hanno creato il raccordo tra il leader della Lega e Putin.

Ma a quel punto si trattava di prendere o lasciare e M5S ha preso, anche perché Foa è un nome tutt’altro che inviso anche da quelle parti.

Automaticamente è scattato il semaforo verde per la carica più determinante, l’amministratore delegato. È Fabrizio Salini, fortemente sponsorizzato da Di Maio.

Tria li ha proposti, l’assemblea li ha volentieri accolti.

Di Maio tripudia, ma con un retrogusto assai minaccioso: «Si avvia una rivoluzione culturale» per «liberarci dei raccomandati e dei parassiti». Il premier è più composto: «Garantiamo il rilancio della principale industria culturale del Paese».

[do action=”quote” autore=”Luigi Di Maio”]«Alla Rai oggi diamo il via a una rivoluzione culturale, ci libereremo di raccomandati e parassiti»[/do]

In realtà perché il nuovo assetto decolli manca un passaggio decisivo: il voto della commissione di vigilanza convocata per mercoledì primo agosto alle 8.30.

Serve la maggioranza qualificata di due terzi, a Lega e 5S mancano cinque voti per raggiungere il quorum.

Non arriveranno dal Pd che al contrario ha alzato barricate altissime, invitando tutte le opposizioni ad affossare i nuovi vertici.

Non arriveranno, e comunque non basterebbero, da LeU, i cui capogruppo Fornaro e De Petris, hanno bocciato senza appello la scelta: «Ma quale rivoluzione culturale? È la solita spartizione dettata dal Cencelli».

Dunque quei voti possono arrivare solo da Fi, che per il momento non si sbilancia.

Mulè non va oltre un reticentissimo: «Giudicheremo dai fatti». Significa: giudicheremo dal nome dei direttori. «È un pacchetto e non possiamo decidere finché non lo vediamo completo», va giù secca un dirigente azzurra.

Tutto dipende fondamentalmente da questo.

Il nome più accettabile dagli azzurri per il Tg1 è Gennaro Sangiuliano, quota Lega, interno al tg di cui è vicedirettore e non sgradito ad Arcore.

Ma Fi non si accontenta. Vuole, o forse dice di volere per alzare il prezzo, un direttore che non sia solo «non sgradito» ma direttamente targato Arcore per uno degli altri tg.

Punto interrogativo anche per il Tg3. Salvini era orientato a confermare Luca Mazzà ma le cose potrebbero cambiare dopo la dichiarazione di guerra aperta a Marcello Foa da parte del Pd, che lo accusa, per bocca di Emanuele Fiano di aver vilipeso il capo dello Stato e chiede a Conte di non confermare l’indicazione del Tesoro.

In effetti è difficile immaginare una designazione più bellicosa di quella di Foa, a lungo corrispondente del Giornale dalla Russia, estimatore conclamato di Putin, opinionista di Russia Today, il canale in lingua inglese finanziato direttamente dal Cremlino.

Foa è anche vicepresidente dell’associazione fondata dall’economista anti-euro Alberto Bagnai, oggi presidente della commissione Finanze del Senato, ed è ripreso spesso dal sito Silenzi e Falsità, una sorta di sito di controinformazione che molti accusano invece di puntare alla disinformazione, come è in contatto via twitter con Francesca Totolo, specializzata in fake news tra cui quella sulle «unghie laccate» di Josefa, sopravvissuta al naufragio del 17 luglio.

L’affondo di Fiano si spiega con alcuni post particolarmente virulenti di Foa contro Mattarella nei giorni del veto contro Savona ministro dell’Economia. «Sia conseguente e abbia il coraggio di mettere fuori legge Lega e M5S, li estrometta dal Parlamento. E proclami la dittatura», scriveva allora Foa. In un’altra occasione lo stesso neo-presidente Rai si confessava «disgustato» dalle parole del capo dello Stato sulla Ue.

Precedenti pesanti, che portano Orfini, Pd, a profetizzare la rinuncia di Foa, se non subito nel giro di un paio di giorni.

È vero che i poteri del presidente sono stati quasi cancellati dalla riforma Renzi, che ha fatto del nuovo ad una specie di sovrano di viale Mazzini.

Ma Fabrizio Salini appare in realtà tanto poco solido e caratterizzato politicamente quanto lo è, al contrario, Foa.

È davvero un tecnico, passato da Fox a Sky e di lì a La7 per approdare infine alla direzione di Stand By Me, la società di produzione di Simona Ercolani, renziana più di come non si può.

Il dubbio che politicamente il peso di Foa sovrasti quello di Salini è lecito.

Ma che Foa sia il contrario esatto di quello che dovrebbe essere un presidente di garanzia del cda Rai non è un dubbio.

È una certezza.