L’ospite d’onore è Silvio Berlusconi, in quell’intervista del ’94 al futuro supernemico Michele Santoro nella quale reclamava dimissioni immediate per i condannati per frode fiscale. Antonio Di Pietro la trasmette nel corso del suo intervento introduttivo alla Festa dell’Idv di Sansepolcro, e subito dopo si scaglia contro l’idea di una Giunta per le immunità e a maggior ragione contro il voto segreto.

E’ sempre lui, l’ex pm spaccatutto e appare in piena forma. Ma il suo partito no, quello giura che non sarà più lo stesso. La differenza fondamentale? «I partiti personali si logorano presto. L’idv non lo sarà più». Traduzione grafica: nuovo simbolo, sempre col gabbiano ma su sfondo diverso e soprattutto via il nome del fondatore e padre-padrone. Traduzione in termini di scaletta: il presidente apre i lavori, ma in tempi contenuti come mai prima e la relazione vera e propria tocca al neosegretario Ignazio Messina.

Non è la sola mutazione genetica. La seconda è meno vistosa ma vorrebbe rivelarsi anche più importante. Non più partito di protesta ma di proposta politica di governo. Lo dice Di Pietro, conferma e rincara Messina: «Vogliamo rientrare in parlamento, ma in aula, non sui i tetti. L’esito del congelamento della situazione voluta dal M5S è stato il ritorno al governo di Berlusconi. Se questa è la loro rivoluzione, farebbero bene a rivedere qualcosa». Raramente dagli spalti Idv era partito un attacco così esplicito contro il movimento di Grillo, col quale Di Pietro non ha mai interrotto i rapporti.
E’ una scelta di campo precisa, condivisa anche dal padre fondatore: l’obiettivo è ricostruire un rapporto con il centrosinistra, non competere col comico descamisado. Non a ogni costo, certo.

Nessuna marcia indietro, invece, quanto alla svolta che aveva portato il Gabbiano da partito esclusivamente giustizialista a forza parlamentare più attenta ai conflitti del lavoro e più vicina alla Fiom di Landini. Dopo la mazzata elettorale quella sterzata era stata molto criticata, tanto da autorizzare il dubbio che l’Idv volesse tornare a puntare tutto sul giustizialismo. Almeno stando a questa festa non è così. Non è solo il titolo («Lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, lavoro») a dire il contrario né la conferma di Maurizio Zipponi, ex dirigente Fiom, a responsabile Lavoro. E’ anche l’agenda di questa due giorni, nella quale solo di lavoro si parla e anche il tema portante della legalità è declinato a partire dal suo rapporto con il lavoro e con la crisi di cui la corruzione è, secondo Di Pietro e i suoi, uno dei principali fattori scatenanti.

C’è un’ulteriore spina che il partito passato nel giro di poche settimane dall’8% nei sondaggi a meno dell’1 deve affrontare: quello della selezione del personale politico. Il presidente ammette gli sbagli. Il segretario promette filtri rigorosissimi, anche troppo. Non basteranno i certificati penali. Bisognerà indagare a fondo su ogni candidatura, magari adando a bussare alla porta dei vicini di casa. Insomma, segretario, guardi che tra la corruzione e la Stasi i corrotti sono ancora il male minore!

La realtà è che una formula certa per debellare il morbo che la ha quasi uccisa, l’Italia dei Valori ancora non ce l’ha. Però è in buona compagnia. In fondo, la composizione della classe politica, in termini di capacità, cognizione di causa quando non di onestà e trasparenza, è la pietra al collo della politica italiana e non perdona proprio nessuno. Nemmeno i sanculotti di Beppe il Giacobino.