Il coronavirus fa emergere il ruolo fondamentale che i lavoratori stranieri svolgono nelle campagne italiane. La Coldiretti, attraverso il suo presidente Ettore Prandini, lancia l’allarme sulla «fuga» dalle regioni del Nord Italia di numerosi braccianti stranieri che temono di non poter rientrare nei loro paesi a causa delle misure adottate nei confronti dell’Italia.

Per anni abbiamo assistito alle prese di posizione di coloro che denunciavano una «invasione» di lavoratori stranieri nelle campagne italiane, ora le aree agricole più produttive del paese temono il loro allontanamento.

La Romania, da cui proviene la maggior parte dei lavoratori impiegati nelle produzioni agricole di Lombardia e Veneto, ha stabilito di imporre un periodo di isolamento ai suoi cittadini che rientrano da queste regioni. Anche Polonia e Bulgaria impongono misure restrittive ai loro lavoratori provenienti dall’Italia con l’obbligo di compilare un questionario in presenza di un ispettore sanitario e quarantena al proprio domicilio.

Ed è così che questi lavoratori si stanno spostando in altre regioni alla ricerca di lavori stagionali o evitano di arrivare nelle aree del Nord pur avendo già fissato accordi lavorativi. Coldiretti, che ha collaborato al Dossier Immigrazione 2019, quantifica in 370mila i lavoratori stranieri regolari impegnati nel settore agricolo.

La comunità rumena è la più numerosa con 107.500 occupati, seguita da quella marocchina con 35 mila, indiana con 34 mila e albanese con 32 mila. Anche le comunità polacche, bulgare, senegalesi, tunisine, macedoni, pakistane contribuiscono a mandare avanti l’agricoltura italiana.

La Coldiretti afferma che «le misure restrittive attuate da alcuni paesi europei nei confronti dell’Italia stanno provocando le disdette degli impegni di lavoro di molti lavoratori stranieri regolarmente occupati in agricoltura e che forniscono il 27% del totale delle giornate lavorative necessarie al settore».

Il presidente Prandini evidenzia che «l’emergenza coronavirus sta impattando in modo sostanziale sulle attività delle imprese e occorre un intervento sul piano nazionale e comunitario per evitare che vengano poste ingiustificate barriere alla circolazione dei lavoratori e delle merci, con decisioni estemporanee di alcuni paesi comunitari che generano grande insicurezza, ma anche danni economici ed occupazionali».