Che la sostituzione di Arcuri fosse più o meno imminente lo sapevano e lo prevedevano tutti nei palazzi della politica. La tempistica invece era nota, probabilmente, solo al capo dello Stato e la modalità ruvida forse neppure a lui. Ancora venerdì scorso, non riuscendo a parlare col premier ed essendo esperto abbastanza da trarre da sé le conclusioni, Arcuri era stato sul punto di anticipare dimettendosi da solo. Aveva evitato proprio perché il disegno di Draghi non gli era chiaro. Sino all’ultimo non è stato messo al corrente il ministro della Salute, che agli intimi confidava di «immaginare un ricambio ma senza saperne niente» ancora dieci minuti prima del benservito. Di certo non erano stati avvertiti i partiti, né il Pd, ai cui «ambienti», Arcuri era molto vicino e che accusa palesemente il colpo, né la destra e Iv, che festeggiano come quando allo stadio arriva il goal.

SALVINI, CHE DA MESI bersagliava il commissario, esulta senza freni: «Missione compiuta. Grazie Draghi». Più tardi, ricordandosi del nuovo e più pacato ruolo, diventerà più civile: «Non ho nente contro Arcuri ma penso che abbia fallito». Come al solito Giorgia Meloni è più urbana: «Siamo stati tra i primi a chiedere un netto segnale di discontinuità con la pessima gestione del governo precedente». FdI, opposizione amichevole da manuale, conferma di essere pronta a dare una mano al generale Figliuolo, il nuovo commissario. Tripudia anche Renzi: «Finalmente si va nella direzione che Iv chiede da mesi». L’ex maggioranza di Conte segna la differenza con un coro di ringraziamenti rivolti all’uscente per il buon lavoro svolto ma non si concede di esprimere la pur minima critica al premier.

In realtà, nonostante gli schiamazzi della destra, la scelta di Draghi con i desiderata di Salvini e Renzi non c’entra niente. L’allora presidente incaricato aveva fatto trapelare l’intenzione di sostituire sia la struttura che le figure chiave della lotta alla pandemia già nel corso delle consultazioni. In aula aveva segnalato l’intenzione di puntare su Protezione civile ed esercito per la gestione del piano vaccini. Le nomine di Curcio e del generale esperto in logistica Figliuolo sono conseguenze di quella scelta strategica, derivata da una situazione mutata e da una nuova prima linea, che è ora appunto quella dei vaccini. Del resto che la struttura ormai elefantiaca messa in piedi da Conte e affidata ad Arcuri fosse ormai inadeguata alla realtà anche nella ex maggioranza lo ammettono tutti.

MA IN POLITICA LE FORME hanno la loro importanza e il confine tra apparenza e sostanza è labile. La rimozione di Arcuri, anche per le modalità ai confini del licenziamento, con cui si è verificata, suonano come una vittoria della destra e di Renzi. Proprio per evitare questa impressione era previsto un po’ da tutti che Draghi si sarebbe mosso con maggiore felpatezza, disarticolando la struttura di Conte per restituire centralità alla Protezione civile di Curcio, affiancando in un primo momento una figura di sua fiducia ad Arcuri. Ma Draghi non è un politico e il suo modus operandi è già chiaro: è prontissimo a lasciare alla politica tutte le sue liturgie, Cencelli incluso, sino a che non si sfiora il nocciolo duro del suo mandato, la lotta alla pandemia, il piano vaccini, il Recovery. Ma in quel perimetro si muove di fatto come un commissario e considera la rapidità più importante della diplomazia.

MA CHE L’EFFETTO SIA voluto o meno, la decisione di ieri segna un punto a favore della destra, e dunque a sfavore della ex maggioranza, nella partita silenziosa ma inesorabile che si gioca tra le due anime di questa maggioranza per intestarsi la «vera paternità» del governo Draghi. E’ un ennesimo colpo per una coalizione che stenta a ripartire. L’arrivo di Conte alla guida dei 5S dovrebbe essere, negli auspici e nelle previsioni, l’avvio della ripresa e in effetti anche al di là delle dichiarazioni ufficiali nel Pd i pareri sono positivi. Perché solo la presenza in campo di Conte può frenare il disfacimento dei 5S, restituendo al Pd un alleato senza il quale non ci sarebbe nessuna speranza di vittoria alle prossime elezioni. Ma la rosa ha molte spine.

IL NUOVO CONTE A 5 STELLE è molto diverso dal federatore al di sopra delle parti di pochi mesi fa. E’ un competitor, non più soltanto un alleato, e molto pericoloso. Un sondaggio diffuso ieri segnalava uno scarto di addirittura 8 punti tra i 5S con Conte e il Pd. Quanto reggerà il Pd a una minaccia del genere, è ancora tutto da verificarsi.