Affrontare la crisi climatica è una sfida globale, non è una questione di parte ma una lotta tra i pochi che hanno molto e i molti che hanno poco e soffrono maggiormente gli effetti di inquinamento e i mutamenti climatici. Lo hanno capito i milioni di persone che oggi torneranno in piazza per quello che è stato ribattezzato Earth Strike, ovvero il terzo sciopero globale per il clima. Una giornata che chiude la settimana di mobilitazione lanciata in occasione del Climate Action Summit delle Nazioni unite.

la situazione lo dicono i numeri: le emissioni climalteranti continuano a salire, la concentrazione di CO2 in atmosfera ha toccato vette mai raggiunte e il quinquennio 2015-2019 è quello con le temperature medie più alte di sempre: siamo ormai a + 1,1 gradi rispetto al periodo preindustriale.
Ecco perché non possiamo più temporeggiare.

Se vi piace Greta, se siete preoccupati del possibile crollo del ghiacciaio di Planpincieux sul versante italiano del Monte Bianco è arrivato il momento di agire.

Da ecologista ho aspettato anni un governo che parlasse di ambiente e sviluppo sostenibile in Costituzione. Ma per evitare che questi slogan diventino un’operazione di greenwashing bisogna passare dall’enunciazione all’azione.

Per vincere la sfida del clima servono azioni coordinate e concordate a livello internazionale, bisogna mantenere la rotta tracciata con l’Accordo di Parigi, ma serve anche aumentare ambizioni e azioni dei singoli Stati.

Per accelerare la conversione ecologica e rendere la nostra società e la nostra economia a basso tenore di carbonio dobbiamo rivedere al rialzo gli impegni del nostro Piano energia e clima ed avviare il Green new deal già dalla Legge di Bilancio.

È necessario avviare un graduale taglio dei sussidi ambientalmente dannosi: 19 miliardi di euro l’anno, una parte dei quali aggredibili subito come l’estesa, e scandalosa, esenzione vigente sulle royalties dovute per le estrazioni di idrocarburi. Più in generale bisogna introdurre una fiscalità ambientale che faccia valere il principio del ‘chi inquina paga’ e sia attenta alla giustizia sociale.

Non nuove tasse, ma un sistema nuovo in cui rivedere al rialzo i ridicoli canoni che in Italia si pagano per sfruttare beni comuni come acqua, spiagge, cave, autostrade, e in cui premiare prodotti e servizi attenti all’ambiente.

Così otterremmo risorse per investire con ben maggior convinzione su una generazione energetica rinnovabile e diffusa, sulle tecnologie innovative, sulla mobilità sostenibile, sull’efficientamento del patrimonio edilizio, sulla bonifica dei territori gravemente inquinati, sulla messa in sicurezza dal dissesto idrogeologico.

Sarebbe anche l’ora di approvare finalmente un provvedimento contro il consumo di suolo.

Se l’esecutivo vuole continuare a parlare di Green new deal dobbiamo superare, presto e bene, anche le criticità non tecnologiche che bloccano l’economia circolare normando sull’end of waste.

Una materia importantissima per le nostre imprese green e che ci aiuterebbe nella gestione virtuosa dei rifiuti e nel contrasto dell’illegalità, ma per la quale nella bozza del decreto Clima c’era solo un titolo senza alcuna soluzione.

Le ambizioni devono essere adeguate alle aspettative e le misure devono nascere da un confronto ampio tra le forze politiche, sindacati, imprese e forze sociali.

Perché per essere davvero efficaci le politiche ambientali devono essere condivise e proporre soluzioni considerate efficaci.

Come ci ha insegnato Alex Langer, infatti, la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile.
Abbiamo bisogno di un ecologismo che combatta il populismo con argomenti scientifici ma sappia anche essere popolare promuovendo democrazia, territorio e sana economia dando finalmente rappresentanza al popolo del clima!

*Ecologista e deputata di LeU