Che non si sarebbe trattato di un incontro breve probabilmente Mario Draghi lo sapeva benissimo, anche prima che Landini, poco prima di entrare a palazzo Chigi per l’incontro con il governo sullo sblocco dei licenziamenti, chiarisse il concetto: «Non andiamo per essere informati. È interesse del governo evitare i licenziamenti. Se così non fosse valuteremo con Cisl e Uil come muoverci». Minaccia felpata ma chiara.

LA RIUNIONE INFATTI tutto è tranne che un informativa. Si prolunga per ore ed ore, con numerose interruzioni, almeno tre e forse di più, per dar modo alla delegazione di governo composta da Draghi, dal ministro dell’Economia Daniele Franco e da quello del Lavoro Andrea Orlando di fare il punto sulle controproposte dei segretari confederali Landini, Sbarra e Bombardieri, di confrontarsi con gli uffici tecnici del Mef e soprattutto di consultare Confindustria.

Perché anche se intorno al tavolo c’erano solo governo e sindacati quello di ieri è stato a tutti gli effetti un momento concreto di concertazione, forse la resurrezione non dichiarata di quel metodo.

LA PROPOSTA che i sindacati si erano sin da prima di varcare la soglia di palazzo Chigi detti pronti a girare direttamente agli industriali è secca: l’impegno ad adoperare per 13 settimane tutti gli strumenti possibili, a partire dalla cassa integrazione ordinaria, prima di procedere con i licenziamenti.

Se non è la proroga del blocco, ci va molto vicino. La proposta viene trasferita nero su bianco: «Le parti sociali si impegnano nell’utilizzo prioritario di tutti gli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente e il decreto in approvazione prevedono e/o incentivano in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro». È solo un impegno, ma sostanziato anche dalla richiesta di adoperare solo la cassa Covid, che obbliga a non licenziare, nelle 13 settimane ulteriori di Cassa integrazione straordinaria gratuita a cui potranno ricorrere, in base alle decisioni prese lunedì dalla cabina di regia, tutte le aziende con crisi aziendali aperte. Ma anche l’impegno, pur non essendo un divieto formale, ha un peso notevole. Una volta raggiunto nel corso di un passaggio concertativo e dunque di fatto garantito dal governo, che dovrebbe istituire un tavolo di monitoraggio a palazzo Chigi, si tratta di un risultato concreto indiscutibile.

La nota, con l’aggiunta di un secondo periodo che auspica la «pronta e rapida riforma degli ammortizzatori sociali» senza la quale nessun accordo servirà per molto, viene inviata a viale dell’Astronomia e, in attesa della risposta, la riunione-fiume riprende. Il tempo non permette pause.

OGGI SCADONO SIA il blocco dei licenziamenti che la proroga per la consegna delle cartelle esattoriali. Oggi dunque il consiglio dei ministri deve per forza varare il decreto che rinvia a fine agosto le cartelle e interviene sullo sblocco dei licenziamenti, sia rendendo ufficiale la scelta già fatta di prorogare il blocco per il settore della moda, cioè tessile, abbigliamento e calzaturiero, sia assumendo i risultati dell’incontro di ieri.

Il decreto, che conterrà anche le nuove norme su Alitalia e la proroga degli stanziamenti per oltre 600 milioni a favore delle piccole e medie aziende che rinnovano o restaurano gli impianti tecnici, confluirà poi nel decreto Sostegni bis che sarà convertito dal Parlamento nelle prossime settimane.

SEMPRE CHE L’ACCORDO VENGA chiuso davvero nella notte. In tarda serata, infatti, Confindustria puntava ancora i piedi e negava il semaforo verde.

La lunghissima riunione a palazzo Chigi proseguiva e il segretario della Uil Bombardieri faceva il punto sulla situazione affidandosi a una foto su Tweet: i tre segretari intorno al tavolo con il commento: «Noi non molliamo mai». Lo stesso segretario del Pd Letta, dopo aver incautamente plaudito alle scelte della cabina di regia bocciate dai sindacati correggeva il tiro: «Certo che sul blocco dei licenziamenti vorremmo qualcosa in più ma siamo dentro una maggioranza composita e siamo una forza di governo responsabile».

Parole pronunciate di sicuro tenendo le dita scaramanticamente intrecciate. Perché per la «forza responsabile di governo» reggere lo scontro con la Cgil che certamente si aprirebbe senza l’accordo sarebbe drammatico.