Come già deciso a suo tempo per quello di AstraZeneca, anche il vaccino Johnson&Johnson sarà utilizzato «preferenzialmente» nelle persone al di sopra dei 60 anni di età e in quelle più a rischio di malattia grave. Questo è il parere consegnato ieri sera dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Ema), sulla base del quale il ministero della salute ha emanato le nuove indicazioni per il prosieguo della campagna vaccinale. Il percorso è stato lo stesso già seguito per il vaccino inglese: la commissione tecnico-scientifica dell’Aifa ha atteso il parere della casa madre europea (Ema), che anche in questo caso non ha individuato categorie a rischio da escludere dalle vaccinazioni e ha lasciato ai governo la scelta delle limitazioni. Date le analogie tra i due casi, e per evitare nuovi tentennamenti che metterebbero a rischio i nervi dei vaccinandi, l’Aifa si è limitata a fotocopiare la valutazione finale compiuta per il vaccino AstraZeneca.

LE VACCINAZIONI con il prodotto Johnson&Johnson potrebbero partire già oggi, se arriverà anche l’ok dell’azienda. Al deposito di Pratica di Mare sono già stoccate le prime dosi da somministrare. Nel 2021 ne attendiamo 26 milioni, in grado di vaccinare altrettante persone in quanto si tratta di un vaccino monodose. Ma a questo punto sono anche troppe, alla luce dei 40 milioni di dosi AstraZeneca prenotati: gli italiani over 60 sono in tutto circa 19 milioni.

La riunione decisiva dell’Aifa si è svolta mentre la direttrice dell’Ema Emer Cooke, la presidente del comitato di farmacovigilanza Sabine Straus e il direttore del dipartimento di analisi Peter Arlett presentavano alla stampa il parere dell’Agenzia. L’Ema ha valutato gli otto casi di trombosi segnalati negli Usa, dove il vaccino Johnson&Johnson è stato somministrato a circa sette milioni di persone. Sebbene il numero di eventi riportati sia inferiore rispetto a quelli segnalati dopo le vaccinazioni AstraZeneca (297 finora ma su molte decine di milioni di dosi soprattutto in Europa e India), i due casi si assomigliano molto. Anche negli Usa si tratta di donne in età compresa tra i 18 e i 49 anni e le trombosi con assenza di piastrine, che hanno riguardato soprattutto il cervello e l’addome, si sono verificate tra una e tre settimane dopo la vaccinazione.

Pure il verdetto pronunciato da Sabine Straus è lo stesso già adottato per il vaccino inglese: «I benefici superano i rischi». Ma stavolta la rarissima possibilità di una trombosi sarà inserita direttamente tra i «possibili effetti collaterali» del vaccino Johnson&Johnson. Dato il numero esiguo di casi, ha precisato Cooke, l’agenzia non ha indicato fattori di rischio legati all’età o al genere.

L’inserimento tra gli effetti collaterali del vaccino aiuterà a mitigare il danno: conoscendo l’associazione tra la trombosi e la vaccinazione, ha detto Straus, «l’intervento tempestivo di uno specialista può influire radicalmente sull’esito della patologia». Se dopo la vaccinazione dovessero sopraggiungere forti mal di testa, difficoltà di respiro, forti dolori alle gambe o all’addome, sarà bene rivolgersi rapidamente a un medico, pur sapendo che l’evenienza della trombosi è molto improbabile. Sui trattamenti Straus però ha ammesso che per ora non c’è un protocollo definitivo. «Viste le somiglianze con un’altra reazione auto-immune, la trombocitopenia indotta da eparina, gli specialisti consigliano di usare anti-coagulanti diversi dall’eparina stessa», ha spiegato.

LE ANALOGIE TRA le segnalazioni relative a AstraZeneca e Johnson&Johnson non sono ancora sufficienti, secondo l’Ema, per imputare le reazioni avverse alla particolare tecnologia utilizzata nei due vaccini. Entrambi, infatti, trasportano il codice genetico della proteina Spike nelle cellule (affinché il sistema immunitario impari a riconoscerla) attraverso un “vettore virale”, cioè un adenovirus in grado di infettare le cellule e solitamente innocuo. «Sia gli adenovirus che le proteine utilizzate sono diversi nei due vaccini» ha spiegato Straus. L’adenovirus utilizzato nel vaccino inglese proviene dagli scimpanzé, mentre in quello statunitense c’è un adenovirus umano, e «anche le proteine Spike utilizzate dai due virus non sono esattamente le stesse». Quindi è presto, secondo l’esperta, per attribuire la reazione all’adenovirus. Sarebbe utile confrontare i dati con quelli relativi alla sicurezza di un terzo vaccino adenovirale, il russo Sputnik V, sotto esame all’Ema. «Ma siamo ancora troppo indietro e non abbiamo ancora questi dati» ha spiegato Cooke, facendo capire che l’eventuale approvazione europea del vaccino russo è ancora molto lontana. Peraltro, anche con i vaccini a mRna sono stati osservati casi simili. Ma in un numero troppo piccolo (25 per Pfizer, solo 5 per Moderna) dopo oltre cento milioni di vaccinazioni solo negli Usa «per poter costituire un segnale di allerta», ha spiegato Arlett.