«È cominciato un processo che sicuramente sarà lungo e difficile» esordisce Gianluca Maggiore, presente con decine di attivisti fuori dall’aula del Tribunale di Lecce dove nella mattina dell’11 settembre è iniziato il processo per disastro ambientale contro la multinazionale Trans Adriatic Pipeline. La società con sede in Svizzera, ma che vede tra i suoi soci di maggioranza l’italiana Snam, si trova sul banco degli imputati assieme a 18 manager della stessa azienda e delle sue contrattate per la costruzione del gasdotto Tap, un progetto da 4,5 miliardi di euro da anni fortemente contestato per il suo impatto ambientale e sociale.

Oltre a Maggiore, portavoce del Movimento NO Tap e presidente dell’associazione Tumulti, si sono costituite parte civile anche numerose istituzioni del territorio, a partire dal comune di Melendugno e dai comuni confinanti (Vernole, Calimera, Castrì di Lecce, Lizzanello, Martano, Corigliano) a cui si aggiungono il comune di Lecce e la Regione Puglia. Michele Mario Elia e gli altri manager citati in giudizio non si sono presentati a questa prima udienza. «Abbiamo rinunciato alle sirene delle compensazioni offerte da Tap o dai governi compiacenti con l’azienda», ha dichiarato Marco Potì, sindaco di Melendugno. «Continuiamo a chiedere giustizia e risarcimento dei danni che sono stati già fatti, sperando che questi danni risarciti possano contribuire a non mettere mai in funzione questo gasdotto», ha aggiunto Potì, che oggi era in aula.

Tra le costituzioni a parte civile anche alcuni privati cittadini (tra cui il titolare di uno dei lidi della marina di Melendugno) e altre associazioni. La discussione delle motivazioni delle parti civili è prevista per la prossima udienza del processo, in programma il 20 novembre, questa volta presso l’aula bunker di borgo San Nicola, limitrofa alla casa circondariale. Secondo il presidente del tribunale, la dottoressa Silvia Saracino, il significativo numero di imputati e di parti civili necessitano di un’aula più grande per permettere a ciascuno di essere presente nel rispetto della normativa in atto per il Covid-19.

E proprio all’aula bunker, a qualche ora di distanza, ha avuto luogo l’udienza che raggruppava tre dei diversi procedimenti a carico di 92 attivisti No Tap. Il giudice ha definito un fitto calendario di udienze orientato a chiudere i processi in tempi decisamente rapidi, sembrerebbe entro la fine dell’anno. Durante la prossima udienza, in calendario per il 25 settembre, saranno ascoltati 21 testimoni dell’accusa. «Abbiamo chiesto che vengano acquisiti i video delle manifestazioni interessate, perché il pubblico ministero finora si è limitato a produrre dei fotogrammi», ci ha spiegato l’avvocato Francesco Calabro, difensore di diversi degli attivisti a processo. Il giudice avrebbe tuttavia riservato la visione dei video all’esito dell’esame degli ufficiali di polizia giudiziaria, che saranno appunto ascoltati nella prossima udienza. «Cercheremo di fare di tutto perché i tempi serrati pretesi dal giudice non comprimano il diritto di difesa», ha concluso Calabro.

I due processi si preparano ad essere molto intensi e a seguire due passi diversi. Da un lato quello contro la multinazionale e i diversi manager potrebbe entrare nel vivo solo tra qualche mese, con tempi dilatati per arrivare a un primo livello di giudizio e sempre con la spada di Damocle della prescrizione di alcuni dei reati. Dall’altro quello contro gli attivisti rischia di essere fin troppo veloce, a discapito dell’analisi approfondita della documentazione presentata e dell’adeguato spazio che meriterebbero le difese dei 92.

L’autrice fa parte dell’associazione Re:common