In quello che è stato presentato come il vertice Nato più importante degli ultimi cinquant’anni, è giunta la notizia di una probabile tregua, prevista per oggi, in Ucraina. Questo evento ha decisamente reso meno truce il vertice in corso in Galles, annunciato nei giorni scorsi alla stregua di un appuntamento di «tutti contro la Russia». Nelle ore che hanno preceduto l’incontro, erano arrivate inoltre avvisaglie circa dispiegamenti di forze, esercitazioni, «truppe di intervento rapido».

La Nato, sempre più impegnata a corteggiare la possibilità di un suo allargamento anche in Ucraina (pronti 15 miliardi «atlantici» per la «sicurezza» di Kiev), aveva specificato e sottolineato il proprio appoggio incondizionato al governo di Kiev, attraverso azioni precise: aiuto al governo uscito dalla Majdan, presenza militare massiccia nell’Europa orientale, nuove sanzioni contro la Russia di Putin. Ieri un articolo sul The Times a firma Cameron e Obama, spiegava in modo preciso le intenzioni dell’Alleanza atlantica. «La Russia ha violato le regole con la sua annessione illegale della Crimea e con l’invio di truppe minacciando le fondamenta di uno Stato sovrano», hanno scritto i leader di Stati uniti e Gran Bretagna.

«Con la Russia che prova a forzare uno Stato sovrano ad abbandonare il suo diritto alla democrazia e che decide il suo avvenire con le armi, dovremo sostenere il diritto dell’ Ucraina a decidere del suo proprio avvenire democratico e proseguire nei nostri sforzi per rafforzare i mezzi dell’ Ucraina».

Nell’intervento è scritto che l’Alleanza dovrebbe mettere in piedi una presenza «permanente» nell’Europa dell’ est sostenuta da una forza di reazione rapida composta da forze speciali terrestri, aeree e marittime che potrebbero «essere dispiegate ovunque nel mondo in tempi molto rapidi».

Obama e Cameron hanno poi richiamato gli altri membri della Nato a rispettare l’obiettivo di consacrare almeno il 2% del loro Pil alle spese militari, al fine di mostrare che «la nostra risolutezza collettiva è più forte che mai». Per quanto riguarda il dispiegamento delle forze, ieri è arrivata l’ufficialità: saranno circa 1.300 i militari provenienti da 15 paesi della Nato e non (Georgia, Azerbaijan e Moldavia) che parteciperanno alle manovre «Rapid Trident» in Ucraina. Gli Usa schiereranno circa 200 parà. L’esercitazione è stata programmata dal 15 al 26 settembre.

Nelle manovre, ufficialmente guidate da Ucraina e Usa, anche rappresentanti della Nato e soldati di Bulgaria, Germania, Gb, Lettonia, Lituania, Norvegia, Polonia, Romania, Spagna e Canada. Per l’Italia, sul tema, è intervenuto il primo ministro Matteo Renzi, accodatosi alla posizione comune europea, a traino degli Usa e della Nato. «Gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco devono essere sostenuti con forza. C’è una priorità umanitaria da indirizzare. Spero che un effettivo e durevole cessate il fuoco possa realizzarsi presto sulla base dei colloqui del presidente Poroshenko con il presidente Putin. Putin, dal canto suo, deve portare fatti e non parole».

Renzi avrebbe specificato queste opinioni, insieme ad un consenso a nuove sanzioni contro Mosca («Siamo pronti ad allargare il campo di misure restrittive nella finanza, nella difesa, tecnologie sensibili e beni dual use»), nonostante gli allarmi di imprenditori italiani, gravemente colpiti dalle misure economiche anti Cremlino e dalle reazioni di Mosca. Le posizioni italiane sono state espresse durante l’incontro a cui hanno partecipato Barack Obama, i leader Ue e il presidente ucraino Petro Poroshenko.

In serata l’Ue ha frenato sulle sanzioni:«Aspettiamo il corso degli eventi». Il segretario generale Rasmussen ha infine illustrato alcune caratteristiche dell’eventuale sostegno militare dei paesi dell’Alleanza a Kiev, confermato in giornata dal leader ucraino Poroshenko: «La Nato, ha detto il segretario generale, in quanto alleanza, non è coinvolta nella consegna di forniture militari, perché non possiede capacità militari. Sono invece i singoli Paesi alleati che le possiedono e queste decisioni sono nazionali e non non interferiremo». Sul fronte dei rapporti europei-russi, infine, da sottolineare l’apparente dietrofront francese per quanto riguarda la vendita dei portaelicotteri Mistral.

Mercoledì l’Eliseo aveva annunciato di aver bloccato la consegna del primo Mistral, già pagato da Mosca. Ieri invece, al primo vagito di una possibile tregua, Hollande ha precisato: «Se arriverà una soluzione politica, consegneremo la nave alla Russia». Con un sospiro di sollievo, visto il miliardo e duecentomila euro già incassati e il rischio di multe successive alla mancata consegna.