«Non corriamo rischi, votiamo no!», si legge su uno dei grandi manifesti propagandistici a sfondo tricolore, che il governo ungherese ha fatto affiggere in tutto il paese per sensibilizzare l’opinione pubblica contro il sistema delle quote d’accoglienza obbligatorie voluto dall’Ue.

L’esecutivo di Budapest rifiuta categoricamente questa gestione del «problema migranti» considerandola un’opzione suicida che incoraggerebbe l’immigrazione clandestina e l’attività dei trafficanti di esseri umani. L’autunno scorso il partito governativo Fidesz ha dato inizio a una raccolta di firme contro il sistema delle quote, raccolta che continua tuttora a una settimana dall’apertura delle urne. Il primo ministro Viktor Orbán sostiene da tempo che i flussi migratori diretti verso l’Europa sono un fenomeno negativo da ogni punto di vista e ha più volte affermato di non vedere di buon occhio il fatto che genti di altra cultura e religione si mescolino agli ungheresi. «Siamo troppo diversi» dice. A suo avviso questi movimenti mettono a repentaglio l’esistenza stessa dell’Europa che rischia di essere fagocitata da un Islam sempre più aggressivo.

Il governo ungherese è per una gestione del problema basato sulla rigida sorveglianza dei confini. In un’intervista rilasciata recentemente alla Cnn il ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha dichiarato che, paradossalmente l’Ungheria viene giudicata proprio perché rispetta le regole comuni esistenti all’interno dell’Ue. Il capo della diplomazia magiara ha più volte affermato che il suo paese è l’unico a farlo veramente, tra tutti gli stati membri, l’unico che si sia veramente posto il problema della difesa dei confini di Schengen e quindi non solo dell’Ungheria ma di tutta l’Ue.
«Non solo l’Ungheria ha eretto una barriera per fermare l’immigrazione clandestina – ha precisato Szijjártó nel corso dell’intervista alla Cnn – anche la Bulgaria, e la stessa Gran Bretagna ne costruisce una a Calais, ma nessuno si preso la briga di condannare i governi di questi due paesi».

In un’altra intervista, concessa al portale di informazione Origo, il primo ministro Orbán avrebbe affermato che occorrerebbe dare a militari e agenti armati il compito di rastrellare i migranti in giro per l’Europa e deportarli in un’isola o sulle coste dell’Africa settentrionale in campi profughi posti sotto sorveglianza armata. I migranti potrebbero lasciare queste strutture solo quando sia stato individuato il paese disposto a ospitarli. Il premier ha battezzato questa proposta «Schengen 2». A suo avviso il programma dovrebbe essere realizzato con i fondi dell’Ue, nel suo stesso interesse. In pratica Orbán avrebbe tratto ispirazione da una pratica adottata dalle autorità australiane in due isole della Micronesia e di Papua Nuova Guinea e già proposta in Europa da Frauke Petry, leader, insieme a Jörg Meuthen dell’AfD (Alternative für Deutschland, i populisti di destra tedeschi).

Proposte estreme per strizzare l’occhio all’elettorato radicale che vede nei migranti solo un pericolo. La propaganda governativa continua in modo martellante man mano che ci si avvicina al 2 ottobre, giorno del referendum voluto dall’esecutivo a tutti i costi. Ai manifesti orbaniani, ben visibili nei centri cittadini, rispondono quelli dell’opposizione di centro-sinistra, meno numerosi e più decentrati. Vi sono ad esempio quelli di Coalizione Democratica (Dk) che, con in primo piano l’ex primo ministro socialista e leader del partito Ferenc Gyurcsány, invitano la gente a disertare le urne: «Il 2 ottobre resta a casa, resta in Europa!». Presenti nelle città, in numero considerevole, anche i manifestini del Partito Ungherese del Cane a due Code (Mkkp), noto dal 2014 per il suo impegno a parodiare l’élite politica nazionale e a denunciare la corruzione esistente a livello di partiti, e intento oggi a convincere gli elettori a invalidare la scheda.

L’opposizione e i settori progressisti della società civile criticano la politica adottata dal governo sul fronte migranti, definendola antieuropea e lontana da qualsiasi principio di umanità e solidarietà. Particolarmente vivaci i membri dei vari gruppi di attivisti antigovernativi.

Il quesito referendario chiederà agli ungheresi se accettino il fatto che al paese venga imposto di accogliere un certo numero di migranti contro il parere del Parlamento nazionale. Nell’intervista alla Cnn Szijjártó si è detto sicuro che prevarrà il no.

Secondo un recente sondaggio effettuato da Republikon, il 48% degli aventi diritto sarebbe sicuro di andare a votare, il 23% dice che probabilmente andrà alle urne. Il 73% voterebbe no, il 4% voterebbe sì. La percentuale degli elettori decisi a boicottare il voto sarebbe passata dal 17% al 21%.