Quando ne parlò per la prima volta, nel dicembre dell’anno scorso, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon aveva in testa un intervento in grande stile che potesse finalmente dare una spinta decisiva per risolvere la crisi dei profughi. Un Global Compact, così lo chiamò, capace di coinvolgere i 193 paesi membri dell’Onu in un programma che prevedesse il reinsediamento ogni anno di almeno il 10% dei profughi e da presentare al vertice dei capi di Stato e di governo dedicato alle migrazioni che si terrà a New York il 19 settembre prossimo, alla vigilia dell’Assemblea generale delle Nazioni unite.

Quando mancano ormai poche settimane alla scadenza, le ambizioni di Ban Ki-Moon sembrano però essersi ridotte alla solita lista delle buone intenzioni che nessuno rispetterà mai. Arrivato infatti il momento di stilare il documento finale, sono stati molti gli Stati che hanno storto il naso di fronte all’ipotesi di accogliere in casa propria dei rifugiati, al punto che la bozza di documento che sta girando in questi giorni al palazzo di vetro non prevede nessun impegno concreto.

Sebbene non sia giuridicamente vincolante, il testo di 22 pagine si limita infatti ad elencare cose scontate, come il fatto che i migranti necessitano protezione e non devono essere rimpatriati in paesi dove rischiano di essere vittime di guerre e persecuzioni, insieme a un invito agli Stati a permettere loro di lavorare e ai loro figli di andare a scuola. Cose che non dovrebbe neanche essere necessario ribadire, ma che rischiano invece di essere il cuore del documento e il massimo di quanto gli Stati sono disposti a concedere a chi fugge da guerre, miseria e crisi climatiche.

Se entro settembre non verrà modificato, il documento segnerà una sconfitta per Ban Ki-Moon il cui mandato scade il prossimo 31 dicembre (tra i nomi del possibile successore si fanno anche quelli della cancelliera Angela Merkel e di Helen Clark, numero uno del programma Onu per lo sviluppo. Una delle due potrebbe essere la prima donna a guidare l’Onu).

Senza aspettare l’Onu, l’Italia continua a stringere rapporti con i paesi africani nel tentativo di arginare le partenze di migranti. Ieri il ministero degli Esteri Paolo Gentiloni si è recato in Nigeria dove con il collega Geoffrey Onyeama ha discusso della possibilità di ridurre i flussi dei migranti diretti in Europa. Nel 2015 i nigeriani arrivati nel nostro paese sono stati 22.237, contro i 12.163 sbarcati nei primi sei mesi di quest’anno. Cifra che fa prevedere un aumento degli arrivi entro la fine dell’anno e che conferma ancora una volta la Nigeria come primo paese di origine dei migranti. Tra Roma e Abuja esiste già un accordo bilaterale per i rimpatri, ma la Nigeria rappresenta uno dei paesi al centro del migration compact preparato dall’Italia e approvato dall’Unione europea che prevede investimenti economici nei cinque paesi da quali parte il maggio numero di migranti. Oltre al Niger, Senegal, Nigeria, Mali ed Etiopia. Bruxelles punta inoltre a siglare con la Nigeria un accordo per i rimpatri, cosa di cui si dovrebbe cominciare a parlare dal prossimo mese di ottobre.