È il più antico dei quotidiani nazionali in circolazione. Certo, quando arriva in edicola il primo numero del manifesto, sono già diversi i quotidiani a diffusione nazionale, anche se in realtà sono giornali locali o regionali. Compreso il milanesissimo Corriere, che di nazionale ha più che altro l’«allure», ma la sua roccaforte di copie è la Lombardia e il Nord.

Il «quotidiano comunista» è fin dall’inizio diffuso ovunque, acquistato con lo stesso spirito, la stessa intenzionalità, da Trapani a Trento, da Santa Maria di Leuca ad Aosta.

Lettori che sono molto più che lettori di un quotidiano. Vi si ritrovano, se ne sentono parte, s’arrabbiano se vedono delusa un’aspettativa. Lo piegano diligentemente per tenerlo in vista nella tasca della giacca o con la testata fuori della borsa, segno di appartenenza a una comunità.

Una comunità di lettori, di compagne e compagni, molti dei quali anche sostenitori. Sostenitori generosi ed esigenti, molti fedeli per decenni, alcuni altalenanti, altri ormai lontani ma sempre con uno sguardo amico verso il giornale che comunque ha segnato un parte importante della loro vita.

Il manifesto, nazionale lo è tanto più perché è il primo giornale che fa un’innovazione non da poco, per l’epoca, anticipando anche le altre testate: la teletrasmissione della sua edizione, da Roma a Milano, per accorciare l’Italia che è lunga, tante montagne, più le isole. Merito soprattutto del lungimirante Filippo Maone.

A dieci anni dalla nascita, su Problemi dell’informazione, nel 1981, Alberto Ferrigolo sottolineava giustamente come l’aspetto dell’autonomia tipografica del giornale, proprio perché nazionale, fosse una delle sue prime battaglie e ricorda una sottoscrizione ad hoc ai lettori: «Il primo passo dell’autonomia fu compiuto l’8 gennaio 1974 con la teletrasmissione in fac-simile delle pagine Roma-Milano (La nostra libertà di stampa segna oggi un punto, il titolo di quel giorno), operazione poi perfezionata il 2 gennaio 1976 a Roma con la Co.La.Graf. degli ex tipografi di Lanzara di via del Corso, accanto alla Chiesa, che si costituirono in cooperativa di impaginazione e stampa (Da oggi ’il manifesto’ stampa in una tipografia nostra, cioè di tutti i lettori, il titolo in prima pagina). La Repubblica nasce dodici giorni più tardi.

Fin nella sua stessa esistenza, il manifesto è il racconto e lo specchio di un’Italia che non si è mai sentita divisa in parti tra loro distanti e in competizione, ma di un paese diviso semmai in classi, di un paese con troppe disparità e diseguaglianze.

Cittadini – i lettori del manifesto – di un paese desideroso di cambiare profondamente e radicalmente se stesso, mai stanchi di provarci, nonostante ripetuti rovesci e anche sconfitte, sentendosi parte attiva di un processo di trasformazione del mondo.

La natura peculiare del manifesto ha consentito al collettivo, che quotidianamente lo manda in edicola da cinquant’anni, di superare la difficile prova degli anni Settanta – un decennio di straordinario quanto effimero fermento per la stampa di sinistra, con ben cinque quotidiani nel 1979 – e poi tutti i decenni che si sono susseguiti, fino ad arrivare a oggi, dove alcuni compagne e compagni della prima ora e compagne e compagni degli ultimi decenni e degli ultimi anni – fanno insieme un giornale di alta levatura politica e culturale, a cui s’aggiunge un’edizione online di ottima qualità.

A loro si deve molto, senza di loro oggi non saremmo qui a celebrare questa data importante.

Quotidiano innovativo sin dalle origini, nella grafica, nel linguaggio, nelle scelte informative, nella sua organizzazione, tecnica e redazionale, nelle sue scelte giornalistiche ed editoriali, nel corso degli anni ha cambiato più volte la veste tipografica, il formato. Ha cambiato sede.

Nel frattempo è mutato pure, e radicalmente, il mercato dell’informazione rispetto a cinquant’anni fa. Ma il manifesto non arriva a quest’importante appuntamento della sua vita sfiancato.

Lo sguardo rivolto al passato, nel momento del festeggiamento di un cinquantennio di vita, non è né nostalgico né autocelebrativo. È un momento, certo, di raccoglimento per le compagne e i compagni che ci hanno lasciato. Per i fondatori, a cui si deve tanto.

Ma questo momento serve soprattutto a ribadire, innanzitutto alla nostra stessa comunità, che la capacità di trasformazione nel mondo che cambia – mantenendo la propria natura originaria – è parte costitutiva di questa strana creatura che è il manifesto, è la sua forza.

È la forza propulsiva che gli consentirà nuovi decenni di vita. Forse sempre più sul web e sempre meno sulla carta. Ma indubbiamente il fatto stesso di essere arrivati fin qui – senza padrone, senza padrini – significa che si possono raggiungere altre mete, oggi anche impensabili.