Il World Congress of Families (Wcf), che si terrà in questi giorni a Verona, sbarca in Italia. Alla sua tredicesima edizione, dopo aver toccato nelle ultime edizioni Georgia, Ungheria e Moldavia, giunge per la prima volta nel nostro Paese. E la scelta di Verona, come sede, non è per nulla casuale. Per due motivi principali: il primo porta, ovviamente, all’attuale Ministro della Famiglia, il veronese Lorenzo Fontana, fra i promotori dell’iniziativa e legato a filo doppio all’attuale Giunta Sboarina che governa la città, essendone in passato anche stato il vicesindaco; contestualmente, per loro stessa ammissione, gli organizzatori Antonio Brandi e Massimo Gandolfini hanno da tempo un filo diretto con Alberto Zelger, il consigliere comunale veronese salito alla ribalta delle cronache nazionali per la famosa Mozione pro-vita (o meglio anti-aborto) che nell’estate-autunno 2018 venne contestata duramente dalle attiviste di «Non una di meno». L’altro motivo, ben più inquietante, è quello che conduce alla teoria, sollevata da più parti, che vorrebbe la bella città scaligera come una sorta di laboratorio per le destre, per poter poi esportare il modello su scala nazionale o addirittura internazionale.

NON CHE CIÒ RAPPRESENTI una novità. Anzi. Verona è storicamente una città che si distingue, fin dagli anni Settanta, come un vero e proprio crocevia dell’estremismo della destra italiana: divenne all’epoca un centro ideale per le diverse organizzazioni eversive neofasciste come la «Rosa dei venti» del generale Amos Spiazzi, il «Fronte Nazionale» di Franco Freda, «Ordine Nuovo» e la banda neonazista Ludwig, responsabile di efferati omicidi in città. Nei decenni successivi, Verona, proseguendo in quel solco, vide prosperare le organizzazioni giovanili dei ricostituiti partiti fascisti o ex fascisti (Fronte della Gioventù e Azione Giovani) e dei movimenti dell’ultradestra collegati alle frange più radicali della tifoseria dell’Hellas. Già, l’Hellas. Un collante straordinario, perché l’attaccamento alla squadra rappresenta per molti anche attaccamento alla città, alle tradizioni locali e a tutto ciò che rappresenta il marchio Verona. Dentro e fuori le mura della città, per citare Shakespeare.

GLI ANNI NOVANTA FURONO qui quelli del manichino nero impiccato allo stadio, delle vergognose mozioni omofobe mai abolite e tuttora vigenti, della prima edizione delle «ronde padane» promosse da Flavio Tosi, che anni dopo sarebbe diventato Sindaco della città e, infine, dei concerti finanziati dal Comune delle band cosiddette «nazirock», come i Gesta Bellica. E a proposito di Gesta Bellica, uno dei suoi componenti, Andrea Miglioranzi (noto esponente anche del Veneto Fronte Skinhead), venne incaricato proprio con Tosi sindaco a rappresentare il Comune all’Istituto per la Resistenza di Verona. Un segnale inequivocabile sull’andazzo cittadino. E si potrebbe andare avanti ancora con molti altri esempi. Ma veniamo ai giorni nostri.

DA QUANDO, NEL GIUGNO 2017, la coalizione che sosteneva l’avvocato Federico Sboarina ha vinto al ballottaggio contro quella che appoggiava Patrizia Bisinella in uno scontro fratricida tutto interno al centro-destra, la situazione ha preso addirittura un’accelerata. A sostenere, fra gli altri, la Giunta c’è infatti anche una frangia fuoriuscita da quella più «dura e pura» di Forza Nuova e che si riconosce nel consigliere comunale Andrea Bacciga, fra i fondatori di Fortezza Europa, associazione culturale che nel nome e nei simboli usati si richiama apertamente a quel «Festung Europa» che, in tedesco, era il termine utilizzato da Hitler per la sua propaganda nazista. Se non è una dichiarazione d’intenti, insomma, poco ci manca. Partono fin subito le iniziative ad hoc, tutte immancabilmente appoggiate dal Comune di Verona, come la messa al bando di libri e iniziative considerati propaganda gender e la contemporanea diffusione di autori definiti «identitari», che fanno riferimento all’estrema destra e che finiscono immediatamente nel catalogo della Biblioteca Civica: fra gli altri Léon Degrelle, Franco Freda e Costanza Miriano. Nel febbraio 2018, in piazza Bra, di fronte all’Arena, viene accolto il «Bus per la Libertà», un pullman con la scritta “Non confondete l’identità sessuale dei bambini”. Poche settimane dopo, nella prestigiosa Gran Guardia, lo stesso palazzo seicentesco che da oggi ospiterà il Wcf, ecco sbarcare il primo «Festival per la Vita». Durante quel convegno il Ministro Fontana afferma che «quella per la vita è la battaglia finale, una battaglia culturale, per la nazione e per il popolo», auspicando un ritorno «di un’Europa cristiana». Non finisce certo qua: il Comune di Verona prosegue anche nel corso dell’autunno 2018 con la sua campagna di sostegno a iniziative di ultradestra, come, fra gli altri, il convegno, organizzato da Forza Nuova, dall’eloquente titolo «Verona Vandea d’Europa» (e al quale partecipa, fra gli altri, anche lo slovacco Marian Kotleba, soprannominato «il Cacciatore di Rom» per aver istituito una milizia paramilitare con intenti a dir poco criminali). Quello stesso giorno, il 24 novembre, si svolge nel centro storico di Verona un corteo, organizzato dal Comitato No194 e appoggiato anche dal Presidente di Forza Nuova Roberto Fiore contro la legge che oltre quarant’anni fa legalizzò l’aborto.

UN PERCORSO, INSOMMA, che conduce dritto dritto fino ai giorni nostri, quando il Wcf trova inevitabilmente in Verona il suo «spazio» ideale, con una Giunta comunale che si schiera apertamente (patrocinando l’evento e concedendo gratuitamente la Gran Guardia e una serie di servizi e benefit ai partecipanti, mai concessi prima nella storia della città, come autobus e ingressi museali gratuiti, che complessivamente costeranno circa 100mila euro ai contribuenti veronesi), anche contro la volontà di tanti cittadini, che quella Giunta l’hanno pure votata. E infatti sabato 30 marzo saranno molte le iniziative di protesta all’evento. La città sarà blindata. La tensione è alle stelle.