È la mostra avvenimento dell’inverno a Parigi: Jan Vermeer sbarca al Louvre (fino al 22 maggio), in una mostra costruita attorno ai «maestri della pittura di genere», settanta tele dei pittori dell’età d’oro olandese (1650-1675), organizzate per temi, a dimostrare che il pittore di Delft non era un autore isolato, ma frequentava e dialogava con i suoi contemporanei.
Di Vermeer sono esposti dodici dipinti, un terzo della sua opera conservata fino a oggi, una vera e propria performance perché, come afferma il curatore Blaise Ducos, «dopo Leonardo, è l’artista più difficile da spostare», per il valore simbolico delle opere, ma anche per i costi delle assicurazioni.

ERA DAL 1966 che Parigi non ospitava una mostra dedicata a Vermeer. Il Louvre ha lavorato cinque anni per organizzarla, ospitata anche a Dublino e a Washington – la National Gallery of Ireland, la National Gallery of Art di Washington (e lo stesso Louvre) hanno complessivamente cinque opere di Vermeer – con tele prestate da musei di Amsterdam, Francoforte, Berlino, New York, e un quadro di una collezione privata, i Kaplan (non c’è la Ragazza con l’orecchino di perla, esclusa dai prestiti).
Nel confronto con i suoi contemporanei – il grande de Hooch, Gerard Dou, Ter Borch, Jan Steen, Caspar Netscher, Metsu e altri – l’opera di Vermeer emerge per la luce, il silenzio. «La luce è il suo soggetto – ha spiegato Ducos – che colora moralmente le opere». Il Geografo, La merlettaia, la Donna con bilancia, La Lattaia, La lettera interrotta, La ragazza con l’orecchino di perla, L’astronomo raccontano un mondo calmo, dove in interni borghesi una figura silenziosa appare, come sospesa in un gesto.

È L’INTERPRETAZIONE eccezionale di un’epoca, colta dalla nouvelle vague della pittura degli anni d’oro della ricca Olanda. In quel periodo l’Europa è in subbuglio: in Inghilterra è stato appena giustiziato il re Carlo I e dominano i puritani di Cromwell, in Spagna regna l’Inquisizione, la Germania è appena uscita dalla guerra dei Trent’anni, la Francia fa fronte alla Fronda, dopo essere uscita da otto guerre di religione. L’Olanda è un porto di pace e ricchezza. La Compagnia delle Indie orientali sviluppa il commercio internazionale, i libri vengono stampati senza passare per la censura, Descartes vi aveva soggiornato nel 1617-19, Spinoza difende la «libertà di filosofare». C’è però una relativa libertà religiosa: lo stesso Vermeer, di cultura calvinista, si converte al cattolicesimo per sposare Catharina Bolnes, una giovane abbiente da cui avrà undici figli. La borghesia, intanto volge i suoi interessi all’arte: negli anni d’oro vengono dipinti in Olanda cinque milioni di quadri.

VERMEER lavora a Delft dove dall’età di 21 anni è maestro della gilda di San Luca. Non è un artista prolifico, ne dipinge 3-4 l’anno, in tutto una cinquantina nella sua vita abbastanza breve (è morto a 43 anni, nel 1675) e ne sono rimasti 36 (37, con l’attribuzione contestata di un quadro conservato a Tokyo). Jan Vermeer era però un pittore caro: vendeva le sue opere intorno ai 600 fiorini, corrispondenti al salario di tre anni di un artigiano. Ma Vermeer ha problemi di soldi (che potrebbero aver causato anche la sua morte prematura), a causa dei francesi: Luigi XIV, che dopo aver fatto la pace con la Spagna sposando l’Infanta Maria Teresa ribalta le alleanze, invade le Province unite nel 1672. Gli olandesi, per difendersi, decidono di inondare le loro terre.

IL PAESE va in rovina, in Francia Colbert mette forti barriere doganali, il mercato dell’arte crolla. Vermeer cade nell’oblio. Fino al 1866, quando uno storico francese, il repubblicano Etienne-Joseph-Théophile Thoré, perseguitato da Napoleone III si rifugia in Olanda, dove si interessa ai temi laici del secolo d’oro e riscopre l’artista, che «ha creato su piccoli formati delle opere monumentali dove circola d’aria».