Mentre questo giornale va in stampa, nell’etere americano volteggiano 130 miliardi di dollari. Sono quelli che Verizon, il primo operatore Usa nelle Tlc, ha versato a Vodafone per avere il 45% di Verizon Wireless. La joint venture, creata negli anni ’90, garantisce la copertura cellulare a 100 milioni di abbonati statunitensi.

Si tratta della fusione più grande degli ultimi 15 anni, la prima al tempo della crisi e la terza di tutti i tempi per dimensioni finanziarie dopo quelle di Aol/Time Warner e Vodafone (ancora) con la tedesca Mannesmann.

Eppure anche se coinvolge due tra le principali corporation di telecomunicazioni del mondo, l’operazione fin dall’inizio non ha attirato né recensioni critiche né analisi. Poche righe qua e là, nessun entusiasmo. A parte quello, ovvio, di tutte le banche di Wall Street che stanno facendo a gara per entrare nell’affare e garantire gli inevitabili mega-debiti che Verizon dovrà contrarre per sciogliere il matrimonio. In ballo per JpMorgan, Goldman Sachs e le altre c’è almeno mezzo miliardo di commissioni.

La fusione tra Verizon e Verizon Wireless non attira i riflettori perché è una fusione “noiosa”, scrive il sito Slate. Nel senso che per gli abbonati e i consumatori a stelle e strisce probabilmente non cambierà nulla. Semplicemente Verizon tornerà titolare di tutta la propria rete, ottimizzando forse la gestione e lo sviluppo di quella ultra-veloce. Poca roba.

Ben più interessanti invece potrebbero essere i riflessi per l’Europa, dove a differenza che negli anni ’90 oggi lo sviluppo delle Tlc a tutti i livelli è indietro rispetto agli Stati uniti.

La britannica Vodafone, guidata dall’italiano Vittorio Colao, è il secondo operatore del mondo dopo China Mobile. Con la fusione di Verizon e Verizon Wireless uscirebbe di fatto dall’etere americano ma avrebbe in cassa una quantità di denaro spaventosa, capace di cambiare davvero gli equilibri europei tra i vari “campioni” nazionali delle Tlc. La società già oggi è prima o seconda in 8 dei 9 paesi Ue in cui opera. Colao sicuramente trasferirà una parte di questi utili agli azionisti (sotto forma di dividendi o riacquisto di azioni proprie, altra roba molto “noiosa” per chi si occupa di nuove tecnologie e non di finanza) oppure potrebbe inventarsi soluzioni sul proprio debito. Ma meglio sarebbe, nota il New York Times e non solo, che Vodafone migliorasse la propria infrastruttura e investisse su nuove offerte, più vantaggiose per un mercato europeo in fortissima sofferenza.

Il tempo è adesso perché il mercato delle Tlc è immenso. Oggi nel mondo ci sono 10 miliardi di abbonamenti Internet. E molto presto ci saranno più sim attive che esseri umani, visto che molti utenti iniziano a pagare diversi contratti per avere il Web sul proprio telefono, il proprio tablet o la propria “pennetta”.

Se la fusione di Verizon si farà, dunque, gli effetti maggiori si sentirebbero in Europa, sempre più terreno di caccia di soggetti diversi da quelli tradizionali. Tra le 100 società di Tlc attive nel nostro continente, il messicano Carlos Slim (l’uomo più ricco del mondo) ha il 30% della Kpn olandese e il 24% di Telekom Austria tramite la sua América Movil e vorrebbe crescere. Senza contare il dinamismo di società cinesi come Hutchinson Wampoa (Hong Kong) che in Europa possiede il gruppo 3, o della russa Vimpelcom (che a Roma nel 2011 ha comprato Wind) controllata da Mikhail Fridman, un oligarca miliardario fedelissimo a Putin.

Quest’articolo è un’anticipazione della rubrica “In the cloud” contenuta nel prossimo numero di settembre di Le Monde Diplomatique