La prima parola che viene in mente ascoltando il nuovo album di Cat Power/Chan Marshall è intimo. Wanderer è un disco d’altri tempi che ti seduce sussurrandoti all’orecchio «avvicinati e ascolta», con la promessa di condividere canzoni, storie di vita, esperienze. Appartiene alla lunga tradizione dei folksinger: fa pensare a Karen Dalton che seduta sotto al portico del suo rifugio sui monti del Colorado registra voce e chitarra su un quattro piste casalingo, solo per sé. Se per certi dischi la lista dei credits è più lunga di quella di un film di Spielberg, qui c’è poco da ringraziare: il disco Chan Marshall se l’è scritto, cantato, suonato e prodotto da sola, perfino la copertina è sua. Gli unici nomi da ringraziare sono Nico Segal (tromba in Wanderer), Patrick Warren (archi e arrangiamenti), Lana Del Rey (seconda voce in Woman), Rihanna a cui ha preso Stay e un vocoder.Wanderer è una parola tremendamente alla Cat Power.

La sua versione di Ramblin’ (Wo)man di Hank Williams in Jukebox è magnifica: solo lei poteva reinterpretare così un inno all’irrequietezza, al richiamo della strada aperta che irretisce come una sirena: «Io ti amo ma devi capire che quando il Signore mi ha creata, mi ha fatto vagabonda». Hobo, beatnik o hippie, al femminile il personaggio è incarnato da Janis Joplin, «la senzatetto più ovvia e meglio pubblicizzata degli anni ‘60», ribelle e pioniera sulle orme tristemente maschili di Jack Kerouac, in un’epoca in cui il movimento femminista ancora non esisteva, senza speranza di sorellanza. Che gioia allora sentire il duetto di Cat con Lana Del Rey in Woman, il primo singolo da Wanderer.

Ma se per gli uomini nomadismo significa libertà, per le donne è condanna alla solitudine: tante Katie Cruel che faranno una brutta fine per essersi ostinate a sfuggire al destino già scritto della iperdomesticità degli anni ‘50. Janis, Karen e Cat sono le nobody’s girls, le ragazze di nessuno, senza radici, senza legami, che sfuggono alle convenzioni, ma anche al dolore e soprattutto a se stesse. Una vita di stanze d’albergo, camerini, aeroporti, autostrade, voli intercontinentali, palchi in città di passaggio, serate che spesso si risolvono in mezzi fallimenti, per colpa di problemi tecnici, dell’alcol o della tristezza. Se bisogna credere a quanto dichiarato da Chan, quando ha scoperto di essere incinta, la prima idea che le è venuta è stata di trasferirsi in Australia e lavorare in un bar nel mezzo di niente. Per fortuna ha deciso di restare e fare un disco. È così che, nel solco della tradizione, anche per lei avviene un rovesciamento delle sorti come avviene nel blues, solo che l’artefice del suo destino è lei stessa. Che cosa è accaduto alla Vagabonda se nel 2018 la ritroviamo in abiti iperfemminili (disegnati da Susie Cave alias The Vampire’s Wife) con figlio al seguito?

Più cose di quante la stessa Chan avrebbe potuto immaginare. Dopo Sun nel 2012, ha superato una malattia piuttosto seria – un altro incontro ravvicinato con la morte – la fine straziante della storia con l’attore Giovanni Ribisi, la maternità nel 2015, il divorzio dalla Matador, l’approdo alla Domino e finalmente il nuovo disco. Tutto riassunto in un verso di Woman: «The doctor said I was not my past, he said I was finally free»: il dottore ha detto che non sono il mio passato, che finalmente sono libera. Wanderer è «un disco dedicato alla verità e a quelli che lottano» dice Chan. «Le undici tracce raccontano quello che è stato il mio viaggio fino a qui. Come ho vissuto la mia vita, vagando di città in città con la mia chitarra, per raccontare la mia storia, nel massimo rispetto di tutti quelli che, prima di me, lo avevano già fatto. I cantanti folk e quelli blues, e anche tutti gli altri in realtà. Tutti hanno viaggiato, e io mi sento molto fortunata ad aver avuto la possibilità di fare lo stesso».