Un anno «bello e impegnativo». E’ il 2014 secondo Enrico Letta, che gli va incontro senza la certezza di vederne la fine ancora da palazzo Chigi. Certo, il calendario aiuta: prima le europee e subito dopo, quando sarebbe naturale assistere ai contraccolpi dei risultati elettorali, il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue che sconsiglierà crisi o traumi minori. Doppiato il Capo Horn della decadenza di Berlusconi, il premier ha intenzione di «cambiare registro». E di «giocare all’attacco», come aveva già promesso alla vigilia della legge di stabilità. I risultati e le difficoltà li abbiamo visti, però adesso una novità c’è. I berlusconiani ortodossi trascorreranno l’anno pre-elettorale all’opposizione, qualcosa è cambiato. Il che comporta l’obbligo di tornare in parlamento per un voto di fiducia. Napolitano ha dovuto concederlo ai forzisti, Letta dalla Lituania ha fatto buon viso. «Saremo più forti», ha detto ieri con la consueta capacità di guardare il bicchiere mezzo pieno. C’è anche quello mezzo vuoto, però: d’ora in avanti al senato potrà contare su un margine di otto voti. Sicuramente sarà un anno impegnativo, bello si vedrà.

Le nove votazioni sulla decadenza di Berlusconi possono ingannare: il fronte anti Cavaliere è passato ogni volta con uno scarto di 80 senatori. Ma in quel caso i voti mancanti del Nuovo centro destra erano sostituiti da quelli assai più numerosi dei grillini. E di Sel, degli ex grillini, dei senatori a vita eccezionalmente presenti. Nel senato di tutti i giorni sarà diverso. E anche alla camera, dove pure il Pd potrebbe bastare a se stesso grazie al maxi premio del Porcellum che regala la maggioranza assoluta. Ma il prossimo scoglio è il voto sulla bicameralina per le riforme e richiederebbe una maggioranza dei due terzi che non c’è più. Letta insiste nel dire che le riforme costituzionali saranno parte del programma delle nuova maggioranza, ma senza la procedura di deroga immaginata in questi sei mesi (persi) e se Forza Italia confermerà l’intenzione di sfilarsi, bisognerà ripartire da zero. Con un obiettivo minimo: riduzione dei parlamentari e nuova legge elettorale. Minimo, eppure già eccessivo.

Ma prima di tutto Letta dovrà tornare davanti alle camere, anche se non intende organizzare un classico rimpasto. La «squadra» dei ministri, ha detto, «funziona». C’è qualche sottosegretario incerto tra la fedeltà a Berlusconi e quella all’incarico – «le dimissioni stanno arrivando con il contagocce», sorride il premier – ma non è quello il problema. Le difficoltà cominciano già dalla data: quando presentarsi in parlamento? Letta tende ad allontanare la verifica – e non vuole che la si chiami così -, preferisce attendere la seconda settimana di dicembre. «Riterrei abbastanza inusuale fare una corsa», ha dichiarato. L’esigenza è chiara, e condivisa da Alfano: evitare di comporre un nuovo patto di governo senza impegnare Matteo Renzi. Il sindaco ancora per una settimana può sottrarsi, per quanto la sua vittoria alle primarie sia annunciata. Letta al contrario non può accontentarsi di garantire lui per il Pd, o di farsi garantire dall’uscente Epifani. Deve tentare di coinvolgere il nuovo segretario, che per altro arriva con l’intenzione di farsi sentire da palazzo Chigi «altrimenti finish».

La tattica è scoperta e non può sfuggire ai berlusconiani, che invece si muovono per mettere in difficoltà palazzo Chigi. Brunetta accusa Letta di insensibilità istituzionale, chiama di nuovo in causa Napolitano – che lunedì riceverà il premier al Quirinale per studiare la tempistica della «verifica» -, arriva a minacciare una difficile convocazione d’imperio del governo in parlamento, già questa settimana. Letta deve intanto stringere sul nuovo programma. E’ in fondo quello che chiedeva Alfano: un patto per il 2014 nel quale far pesare l’apporto della sua piccola formazione di fuoriusciti che, anche lei, dovrà misurarsi alle elezioni europee. E allora serve un nuovo feticcio, visto che la Costituzione si va dimostrando troppo solida per essere attaccata da una maggioranza scarsa. La scelta è semplice, ora che il Cavaliere è fuori dal giro: ora tocca alla giustizia.