Opera tra quelle poco rappresentate di Giuseppe Verdi nonostante il successo di un debutto londinese davanti alla regina Vittoria, I masnadieri non conquista grande successo neanche in questo ritorno romano. Nonostante non manchino le belle pagine verdiane (l’apertura orchestrale, il finale a più voci del primo atto) e la direzione di Roberto Abbado lavori a dar loro fascino unitario, non scatta la seduzione che mantiene il dramma di Schiller da cui l’opera nasce.
A vincere forse sono le difficoltà di opere squisitamente romantiche, difficili da tradurre, quanto a sentimenti e movimenti, nei nostri giorni disillusi. E una qualche confusione «morale» si aggira tra gli interpreti, che impersonano l’eterna diatriba tra due fratelli, uno buono l’altro cinico e bugiardo. Massimo Popolizio, al suo debutto nella regia lirica, usa bene la scena funzionale di Sergio Tramonti, meno i costumi facili (in senso proprio e in quello morale) dei personaggi, con qualche discutibile caduta nel trucido. Si finisce per distrarsi delle voci anche belle (Roberta Mantegna) per seguire le azzardate posture degli interpreti. Applausi e rumors dal pubblico.