Verdi al bivio: come il famoso Ercole di Annibale Carracci, quadro oggi a Capodimonte ma a lungo nelle collezioni di Parma, città in cui il Verdi Festival propone opposti percorsi di messa in scena e drammaturgia verdiana.
Graham Vick ha allestito Stiffelio (1850), titolo verdiano desueto ma dalle notevoli qualità musicali, nel meraviglioso spazio del Teatro Farnese. L’obbligo di sicurezza che confina il pubblico alla sola platea ha permesso di rovesciare i codici usuali della recita operistica, pratica che nelle regie di Vick è storia antica. Il risultato è uno spettacolo immersivo totale, in cui la vicenda dell’adulterio e del perdono di Lina da parte del marito, il pastore protestante Stiffelio (l’amante viene comunque scannato) è proiettata nella contemporaneità neo-bigotta delle sentinelle in piedi, nella ipocrisia di chi lotta per la negazione dei diritti altrui, gay, donne, famiglie non tradizionali.

Stiffelio prende vita su tre piattaforme mobili che scompongono e aggregano di continuo le scene, mentre sugli spalti appaiono il coro e minacciosi striscioni. Confusi nel pubblico, che segue in piedi la narrazione itinerante, ci sono coristi, maestranze e anche i figuranti, oltranzisti intolleranti e repressi, ieri come allora, con tanto di opuscoli pseudoreligiosi e scene di possessione.

Il pubblico, dotato di badge «Stiffelio in piedi» scopre il meccanismo poco a poco, elettrizzato dalla spazializzazione sonora inusuale, dalla prossimità fisica dell’azione di coristi e cantanti, specie nei duetti e nel catartico atto finale, con l’epilogo del perdono, forse il momento più commovente. Citiamo nell’ottima compagnia di canto almeno Luciano Ganci, Stiffelio, Maria Katsarava, Lina, Francesco Landolfi, Stankar, Giovanni Sala, Raffaello, partecipi con gli altri dell’idea registica e attenti a non perdere il contatto con l’Orchestra e i coristi del Comunale di Bologna, schierata l’una in fondo alla sala e gli altri fra pubblico e spalti ( grande coordinazione del direttore Guillermo Garcia Calvo, magnifico lavoro di Andrea Faidutti ). Ovazioni trionfali alla fine, con la sensazione di essere stati parte di uno spettacolo che lascerà il segno.

Tutt’altra direzione, al Teatro Regio, per Jerusalem (1847), rifacimento francese dei Lombardi, altro titolo raro, qui presentato anche con i lunghi ballabili, coreografie di Leda Lojodice. Hugo de Ana monta un allestimento solenne, con costumi splendidi e artifici che saldano tradizione scenotecnica e videoproiezioni. Castelli, deserti, le stanze dell’emiro conservano i tratti spettacolari tipici del grand-opéra francese. La regia però si limita a governare le entrate in scena, radunando poi le masse in studiati tableaux vivants. Il pubblico applaude convinto Michele Pertusi (Roger), che canta e sta in scena magnificamente, la Filarmonica Toscanini diretta con rigore da Daniele Callegari, perdona al tenore Ramon Vargas (Gaston) gli acuti omessi e al soprano Annick Massis la scarsa aderenza alla parte di Hélène. La traviata e Falstaff completavano la riuscita edizione del festival, terminata domenica scorsa, capace di offrire scelte diverse e sollevare dibattiti sempre con un’alta qualità.